È morto ieri a Las Vegas a 91 anni, dopo un finale di partita molto sofferto, che l’aveva portato all’anticamera del suicidio per una meningite virale (4 by pass, cancro alla prostata, fibrosi polmonare, diabete) quel fanciullone di Joseph Levitch, che per il mondo era Jerry Lewis, con la sua faccia sbilenca, gli occhi storti, i denti finti, i movimenti picchiatelli con cui iniziò a far ridere a cinque anni. Lewis, nato nel 1926 a Newark, nel New Jersey, era un figlio d’arte e della cultura ebraica, cresciuto nel baule degli artisti di varietà, dietro le quinte. A 5 anni faceva le imitazioni e cantava con i genitori, Rhea e Danny Lewis, nei night. Cresciuto, dopo essere stato espulso dal collegio per aver picchiato un insegnante che parlava male degli ebrei, incontra sulla sua strada un altro entertainer, Dino Crocetti, che per il mondo era Dean Martin, formando con lui una strana ma ferrea coppia comica, come Laurel e Hardy, come Gianni e Pinotto, Hope e Crosby, come Matthau e Lemmon, che durò per 7 anni tondi, dal ’49 al luglio ’56, facendo ingrassare i conti della Paramount, il cui boss Hal Wallis firma per loro un contratto per 5 anni di diecimila dollari alla settimana che diventarono poi 5 milioni di dollari l’anno per ciascuno. Ben spesi se si considera che nel ’50 furono al top della popolarità e degli incassi dopo aver provato le gioie del self made man (magazziniere, fattorino, commesso e maschera in un cinema: niente di queste esperienze andrà perduto). Intanto nel ’44 sposa la cantante Patti Palmer con cui avrà quattro figli e poi nell’83 la ballerina SanDee Pitnick, con una figlia nata nel ’92.
Il duo comico
I due ragazzi irresistibili si incrociano per caso al 500 Club di Atlantic City la sera del 26 giugno 1946, e mandano subito in tilt l’America patinata: il cantante confidenziale all’italiana di «That’s amore» è continuamente interrotto dal fare scimmiesco del ragazzotto pasticcione che gesticola e viene dall’altro deriso, ricattato, protetto. Cabaret, radio, tv, teatro e night, tutto l’arco costituzionale dello spettacolo, infine cinema, dove i due artisti matematicamente complementari tramandano le gesta dei due amici nemici, dei clown da commedia dell’arte, del bello e del brutto, del furbo e del tonto. Il tutto in una raccolta singolare, stereotipata ma talvolta irresistibile di 16 film spesso anche scritti da Lewis, da La mia amica Irma a Il caporale Samfino al cinefilo Hollywood o morte, fra belle donne (perfino Anita Ekberg prima della Dolce vita), bei panorami, belle musiche. Incrociando nipoti picchiatelli e artisti e modelle, diretti da grandi della commedia come Frank Tashlin e Norman Taurog, Jerry e Dean deformano e rifrangono, soprattutto per un pubblico minorenne, i tic nevrotici americani e non mancano polemiche sull’ironia presunta verso i disabili e alcune battute anti gay. E ironizzano sui generi (Mezzogiorno di fifa), si esercitano nei remake (Il nipote picchiatello viene da Frutto proibito di Wilder e Più vivo che morto da Nulla sul serio di Wellmann), finché i loro frequenti litigi li portarono alla rottura, siglata ufficialmente il 25 luglio 1956 con uno show al Capocabana di New York. Lewis, che curerà il vecchio Stan Laurel negli ultimi anni, noterà un destino comune: lui e Stanlio gran lavoratori, Dean e Ollio gli scioperati. Secondo tempo: mentre Martin cresce come attore, di western e melò, con registi come Minnelli e Hawks, arrivando poi al chiacchierato clan Sinatra dei Colpi grossi, Lewis invece rimane fedele alla satira ed esaspera il tipo buffo dell’infantilito sapiente per 23 film, fino al ’70, doppiato in Italia da Carlo Romano e Oreste Lionello. Lavora spesso e volentieri col prediletto Frank Tashlin (Il balio asciutto, Il cenerentolo, Dove vai sono guai, Pazzi, pupe e pillole) da cui impara il mestiere, recita nella pochade Boeing Boeing che gli fa vincere il Golden Globe.
di Napoli Magazine
20/08/2024 - 23:57
È morto ieri a Las Vegas a 91 anni, dopo un finale di partita molto sofferto, che l’aveva portato all’anticamera del suicidio per una meningite virale (4 by pass, cancro alla prostata, fibrosi polmonare, diabete) quel fanciullone di Joseph Levitch, che per il mondo era Jerry Lewis, con la sua faccia sbilenca, gli occhi storti, i denti finti, i movimenti picchiatelli con cui iniziò a far ridere a cinque anni. Lewis, nato nel 1926 a Newark, nel New Jersey, era un figlio d’arte e della cultura ebraica, cresciuto nel baule degli artisti di varietà, dietro le quinte. A 5 anni faceva le imitazioni e cantava con i genitori, Rhea e Danny Lewis, nei night. Cresciuto, dopo essere stato espulso dal collegio per aver picchiato un insegnante che parlava male degli ebrei, incontra sulla sua strada un altro entertainer, Dino Crocetti, che per il mondo era Dean Martin, formando con lui una strana ma ferrea coppia comica, come Laurel e Hardy, come Gianni e Pinotto, Hope e Crosby, come Matthau e Lemmon, che durò per 7 anni tondi, dal ’49 al luglio ’56, facendo ingrassare i conti della Paramount, il cui boss Hal Wallis firma per loro un contratto per 5 anni di diecimila dollari alla settimana che diventarono poi 5 milioni di dollari l’anno per ciascuno. Ben spesi se si considera che nel ’50 furono al top della popolarità e degli incassi dopo aver provato le gioie del self made man (magazziniere, fattorino, commesso e maschera in un cinema: niente di queste esperienze andrà perduto). Intanto nel ’44 sposa la cantante Patti Palmer con cui avrà quattro figli e poi nell’83 la ballerina SanDee Pitnick, con una figlia nata nel ’92.
Il duo comico
I due ragazzi irresistibili si incrociano per caso al 500 Club di Atlantic City la sera del 26 giugno 1946, e mandano subito in tilt l’America patinata: il cantante confidenziale all’italiana di «That’s amore» è continuamente interrotto dal fare scimmiesco del ragazzotto pasticcione che gesticola e viene dall’altro deriso, ricattato, protetto. Cabaret, radio, tv, teatro e night, tutto l’arco costituzionale dello spettacolo, infine cinema, dove i due artisti matematicamente complementari tramandano le gesta dei due amici nemici, dei clown da commedia dell’arte, del bello e del brutto, del furbo e del tonto. Il tutto in una raccolta singolare, stereotipata ma talvolta irresistibile di 16 film spesso anche scritti da Lewis, da La mia amica Irma a Il caporale Samfino al cinefilo Hollywood o morte, fra belle donne (perfino Anita Ekberg prima della Dolce vita), bei panorami, belle musiche. Incrociando nipoti picchiatelli e artisti e modelle, diretti da grandi della commedia come Frank Tashlin e Norman Taurog, Jerry e Dean deformano e rifrangono, soprattutto per un pubblico minorenne, i tic nevrotici americani e non mancano polemiche sull’ironia presunta verso i disabili e alcune battute anti gay. E ironizzano sui generi (Mezzogiorno di fifa), si esercitano nei remake (Il nipote picchiatello viene da Frutto proibito di Wilder e Più vivo che morto da Nulla sul serio di Wellmann), finché i loro frequenti litigi li portarono alla rottura, siglata ufficialmente il 25 luglio 1956 con uno show al Capocabana di New York. Lewis, che curerà il vecchio Stan Laurel negli ultimi anni, noterà un destino comune: lui e Stanlio gran lavoratori, Dean e Ollio gli scioperati. Secondo tempo: mentre Martin cresce come attore, di western e melò, con registi come Minnelli e Hawks, arrivando poi al chiacchierato clan Sinatra dei Colpi grossi, Lewis invece rimane fedele alla satira ed esaspera il tipo buffo dell’infantilito sapiente per 23 film, fino al ’70, doppiato in Italia da Carlo Romano e Oreste Lionello. Lavora spesso e volentieri col prediletto Frank Tashlin (Il balio asciutto, Il cenerentolo, Dove vai sono guai, Pazzi, pupe e pillole) da cui impara il mestiere, recita nella pochade Boeing Boeing che gli fa vincere il Golden Globe.