Cultura & Gossip
LUTTO - Morto Jerry Lewis, leggenda della comicità Usa, aveva 91 anni
20.08.2017 23:57 di Napoli Magazine Fonte: Corriere della Sera

È morto ieri a Las Vegas a 91 anni, dopo un finale di partita molto sofferto, che l’aveva portato all’anticamera del suicidio per una meningite virale (4 by pass, cancro alla prostata, fibrosi polmonare, diabete) quel fanciullone di Joseph Levitch, che per il mondo era Jerry Lewis, con la sua faccia sbilenca, gli occhi storti, i denti finti, i movimenti picchiatelli con cui iniziò a far ridere a cinque anni. Lewis, nato nel 1926 a Newark, nel New Jersey, era un figlio d’arte e della cultura ebraica, cresciuto nel baule degli artisti di varietà, dietro le quinte. A 5 anni faceva le imitazioni e cantava con i genitori, Rhea e Danny Lewis, nei night. Cresciuto, dopo essere stato espulso dal collegio per aver picchiato un insegnante che parlava male degli ebrei, incontra sulla sua strada un altro entertainer, Dino Crocetti, che per il mondo era Dean Martin, formando con lui una strana ma ferrea coppia comica, come Laurel e Hardy, come Gianni e Pinotto, Hope e Crosby, come Matthau e Lemmon, che durò per 7 anni tondi, dal ’49 al luglio ’56, facendo ingrassare i conti della Paramount, il cui boss Hal Wallis firma per loro un contratto per 5 anni di diecimila dollari alla settimana che diventarono poi 5 milioni di dollari l’anno per ciascuno. Ben spesi se si considera che nel ’50 furono al top della popolarità e degli incassi dopo aver provato le gioie del self made man (magazziniere, fattorino, commesso e maschera in un cinema: niente di queste esperienze andrà perduto). Intanto nel ’44 sposa la cantante Patti Palmer con cui avrà quattro figli e poi nell’83 la ballerina SanDee Pitnick, con una figlia nata nel ’92.

 

Il duo comico

I due ragazzi irresistibili si incrociano per caso al 500 Club di Atlantic City la sera del 26 giugno 1946, e mandano subito in tilt l’America patinata: il cantante confidenziale all’italiana di «That’s amore» è continuamente interrotto dal fare scimmiesco del ragazzotto pasticcione che gesticola e viene dall’altro deriso, ricattato, protetto. Cabaret, radio, tv, teatro e night, tutto l’arco costituzionale dello spettacolo, infine cinema, dove i due artisti matematicamente complementari tramandano le gesta dei due amici nemici, dei clown da commedia dell’arte, del bello e del brutto, del furbo e del tonto. Il tutto in una raccolta singolare, stereotipata ma talvolta irresistibile di 16 film spesso anche scritti da Lewis, da La mia amica Irma a Il caporale Samfino al cinefilo Hollywood o morte, fra belle donne (perfino Anita Ekberg prima della Dolce vita), bei panorami, belle musiche. Incrociando nipoti picchiatelli e artisti e modelle, diretti da grandi della commedia come Frank Tashlin e Norman Taurog, Jerry e Dean deformano e rifrangono, soprattutto per un pubblico minorenne, i tic nevrotici americani e non mancano polemiche sull’ironia presunta verso i disabili e alcune battute anti gay. E ironizzano sui generi (Mezzogiorno di fifa), si esercitano nei remake (Il nipote picchiatello viene da Frutto proibito di Wilder e Più vivo che morto da Nulla sul serio di Wellmann), finché i loro frequenti litigi li portarono alla rottura, siglata ufficialmente il 25 luglio 1956 con uno show al Capocabana di New York. Lewis, che curerà il vecchio Stan Laurel negli ultimi anni, noterà un destino comune: lui e Stanlio gran lavoratori, Dean e Ollio gli scioperati. Secondo tempo: mentre Martin cresce come attore, di western e melò, con registi come Minnelli e Hawks, arrivando poi al chiacchierato clan Sinatra dei Colpi grossi, Lewis invece rimane fedele alla satira ed esaspera il tipo buffo dell’infantilito sapiente per 23 film, fino al ’70, doppiato in Italia da Carlo Romano e Oreste Lionello. Lavora spesso e volentieri col prediletto Frank Tashlin (Il balio asciutto, Il cenerentolo, Dove vai sono guai, Pazzi, pupe e pillole) da cui impara il mestiere, recita nella pochade Boeing Boeing che gli fa vincere il Golden Globe.

 

L’esordio alla regia
 
Prima gira con gli amici filmetti in 8 mm. in cui se la prende con i successi d’epoca (da Un posto all’ombra a Un tram che si chiama schifezza), diventando poi egli stesso un autore assai apprezzato dai critici francesi di Positif e dei Cahiers. Lewis, seguendo la tradizione dello «schlemiel», il piccolo ebreo vittima del mondo, ricalcando le orme di Charlot e Keaton, e un poco anche di Woody Allen, recitando con tutto il corpo e soprattutto con la mimica facciale, è l’eterno perdente contro cui si scaglia la società che lo ridicolizza e lo rimanda al mittente, al pubblico, come una bomba che scoppia di malinconia. Il primo titolo di Jerry regista è Ragazzo tuttofare, fantasioso ritorno al tempo della comica finale, dello slapstick girato a Miami, cui seguono l’indovinato L’idolo delle donne, Jerry otto e tre quarti, titolo felliniano per una satira del mondo del cinema, Tre sul divano inevitabile parodia del freudismo all’americana, e il suo divertentissimo Le folli notti del dr. Jerryll che nel ’63 lo vede nel classico psico horror doppio di Jeckyll e Hyde.
 
Si ride al quadrato con Scusi, dov’è il fronte?, parodia chapliniana del film di guerra, poi nel Ciarlatano fa quella del poliziesco, affrontato seriamente in Controfigura per un delitto. Ma è soprattutto sugli usi e costumi Usa che l’attore si esercita senza fine, smontando ogni giocattolo del consumismo, accanendosi contro la psicanalisi (si moltiplica nei 7 magnifici Jerry), in un processo comico che lo vede protagonista e vittima, utilizzando un ritmo convulso per abbattersi sulla psicologia della classe media, preda del consumismo, della tv, dei sentimenti obbligatori. Il film che diresse nel ’72, The day the clown cried, su un lager nazista, rimane per noi inedito anche per liti e difficoltà economiche. Il lungo silenzio che seguirà (ma c’è anche una sua attività di cantante quasi in rivalità con l’ex socio) è dovuto alla sua malattia, al lavoro benefico, all’impegno politico democratico, alle tournée teatrali — è venuto anche a Milano, anni fa, ma era già un clown triste e anziano — e agli show benefici per la distrofia muscolare (aveva anche fondato di recente «La casa della risata» per aiutare i bambini. Finché nel 79 il suo rientro in Bentornato picchiatello (e poi in Qua la mano picchiatello) si rivela per un esperimento patetico, anche perché è la summa delle sventure di un clown sulle luci quasi spente della ribalta. L’unico vero ritorno come attore glielo offre con passione Martin Scorsese, che lo utilizza al meglio come patologico fan tv che rapisce un suo idolo (De Niro) in Re per una nottenell’83, azzannando l’ultimo mito made in Usa. A Cannes per un film fuori concorso, Max Rose, ebbe una crisi di riso durante una conferenza stampa, nel 1987, e forse anche per questo Tarantino gli diede un premio alla carriera nel 2010, prima che il MoMa a New York gli dedicasse per i suoi 90 anni compiuti il 16 marzo 2016 una retrospettiva, dopo aver vinto a Venezia nel 1999 un Leone d’oro alla carriera e moltissimi attestati dai critici europei.
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LUTTO - Morto Jerry Lewis, leggenda della comicità Usa, aveva 91 anni

di Napoli Magazine

20/08/2024 - 23:57

È morto ieri a Las Vegas a 91 anni, dopo un finale di partita molto sofferto, che l’aveva portato all’anticamera del suicidio per una meningite virale (4 by pass, cancro alla prostata, fibrosi polmonare, diabete) quel fanciullone di Joseph Levitch, che per il mondo era Jerry Lewis, con la sua faccia sbilenca, gli occhi storti, i denti finti, i movimenti picchiatelli con cui iniziò a far ridere a cinque anni. Lewis, nato nel 1926 a Newark, nel New Jersey, era un figlio d’arte e della cultura ebraica, cresciuto nel baule degli artisti di varietà, dietro le quinte. A 5 anni faceva le imitazioni e cantava con i genitori, Rhea e Danny Lewis, nei night. Cresciuto, dopo essere stato espulso dal collegio per aver picchiato un insegnante che parlava male degli ebrei, incontra sulla sua strada un altro entertainer, Dino Crocetti, che per il mondo era Dean Martin, formando con lui una strana ma ferrea coppia comica, come Laurel e Hardy, come Gianni e Pinotto, Hope e Crosby, come Matthau e Lemmon, che durò per 7 anni tondi, dal ’49 al luglio ’56, facendo ingrassare i conti della Paramount, il cui boss Hal Wallis firma per loro un contratto per 5 anni di diecimila dollari alla settimana che diventarono poi 5 milioni di dollari l’anno per ciascuno. Ben spesi se si considera che nel ’50 furono al top della popolarità e degli incassi dopo aver provato le gioie del self made man (magazziniere, fattorino, commesso e maschera in un cinema: niente di queste esperienze andrà perduto). Intanto nel ’44 sposa la cantante Patti Palmer con cui avrà quattro figli e poi nell’83 la ballerina SanDee Pitnick, con una figlia nata nel ’92.

 

Il duo comico

I due ragazzi irresistibili si incrociano per caso al 500 Club di Atlantic City la sera del 26 giugno 1946, e mandano subito in tilt l’America patinata: il cantante confidenziale all’italiana di «That’s amore» è continuamente interrotto dal fare scimmiesco del ragazzotto pasticcione che gesticola e viene dall’altro deriso, ricattato, protetto. Cabaret, radio, tv, teatro e night, tutto l’arco costituzionale dello spettacolo, infine cinema, dove i due artisti matematicamente complementari tramandano le gesta dei due amici nemici, dei clown da commedia dell’arte, del bello e del brutto, del furbo e del tonto. Il tutto in una raccolta singolare, stereotipata ma talvolta irresistibile di 16 film spesso anche scritti da Lewis, da La mia amica Irma a Il caporale Samfino al cinefilo Hollywood o morte, fra belle donne (perfino Anita Ekberg prima della Dolce vita), bei panorami, belle musiche. Incrociando nipoti picchiatelli e artisti e modelle, diretti da grandi della commedia come Frank Tashlin e Norman Taurog, Jerry e Dean deformano e rifrangono, soprattutto per un pubblico minorenne, i tic nevrotici americani e non mancano polemiche sull’ironia presunta verso i disabili e alcune battute anti gay. E ironizzano sui generi (Mezzogiorno di fifa), si esercitano nei remake (Il nipote picchiatello viene da Frutto proibito di Wilder e Più vivo che morto da Nulla sul serio di Wellmann), finché i loro frequenti litigi li portarono alla rottura, siglata ufficialmente il 25 luglio 1956 con uno show al Capocabana di New York. Lewis, che curerà il vecchio Stan Laurel negli ultimi anni, noterà un destino comune: lui e Stanlio gran lavoratori, Dean e Ollio gli scioperati. Secondo tempo: mentre Martin cresce come attore, di western e melò, con registi come Minnelli e Hawks, arrivando poi al chiacchierato clan Sinatra dei Colpi grossi, Lewis invece rimane fedele alla satira ed esaspera il tipo buffo dell’infantilito sapiente per 23 film, fino al ’70, doppiato in Italia da Carlo Romano e Oreste Lionello. Lavora spesso e volentieri col prediletto Frank Tashlin (Il balio asciutto, Il cenerentolo, Dove vai sono guai, Pazzi, pupe e pillole) da cui impara il mestiere, recita nella pochade Boeing Boeing che gli fa vincere il Golden Globe.

 

L’esordio alla regia
 
Prima gira con gli amici filmetti in 8 mm. in cui se la prende con i successi d’epoca (da Un posto all’ombra a Un tram che si chiama schifezza), diventando poi egli stesso un autore assai apprezzato dai critici francesi di Positif e dei Cahiers. Lewis, seguendo la tradizione dello «schlemiel», il piccolo ebreo vittima del mondo, ricalcando le orme di Charlot e Keaton, e un poco anche di Woody Allen, recitando con tutto il corpo e soprattutto con la mimica facciale, è l’eterno perdente contro cui si scaglia la società che lo ridicolizza e lo rimanda al mittente, al pubblico, come una bomba che scoppia di malinconia. Il primo titolo di Jerry regista è Ragazzo tuttofare, fantasioso ritorno al tempo della comica finale, dello slapstick girato a Miami, cui seguono l’indovinato L’idolo delle donne, Jerry otto e tre quarti, titolo felliniano per una satira del mondo del cinema, Tre sul divano inevitabile parodia del freudismo all’americana, e il suo divertentissimo Le folli notti del dr. Jerryll che nel ’63 lo vede nel classico psico horror doppio di Jeckyll e Hyde.
 
Si ride al quadrato con Scusi, dov’è il fronte?, parodia chapliniana del film di guerra, poi nel Ciarlatano fa quella del poliziesco, affrontato seriamente in Controfigura per un delitto. Ma è soprattutto sugli usi e costumi Usa che l’attore si esercita senza fine, smontando ogni giocattolo del consumismo, accanendosi contro la psicanalisi (si moltiplica nei 7 magnifici Jerry), in un processo comico che lo vede protagonista e vittima, utilizzando un ritmo convulso per abbattersi sulla psicologia della classe media, preda del consumismo, della tv, dei sentimenti obbligatori. Il film che diresse nel ’72, The day the clown cried, su un lager nazista, rimane per noi inedito anche per liti e difficoltà economiche. Il lungo silenzio che seguirà (ma c’è anche una sua attività di cantante quasi in rivalità con l’ex socio) è dovuto alla sua malattia, al lavoro benefico, all’impegno politico democratico, alle tournée teatrali — è venuto anche a Milano, anni fa, ma era già un clown triste e anziano — e agli show benefici per la distrofia muscolare (aveva anche fondato di recente «La casa della risata» per aiutare i bambini. Finché nel 79 il suo rientro in Bentornato picchiatello (e poi in Qua la mano picchiatello) si rivela per un esperimento patetico, anche perché è la summa delle sventure di un clown sulle luci quasi spente della ribalta. L’unico vero ritorno come attore glielo offre con passione Martin Scorsese, che lo utilizza al meglio come patologico fan tv che rapisce un suo idolo (De Niro) in Re per una nottenell’83, azzannando l’ultimo mito made in Usa. A Cannes per un film fuori concorso, Max Rose, ebbe una crisi di riso durante una conferenza stampa, nel 1987, e forse anche per questo Tarantino gli diede un premio alla carriera nel 2010, prima che il MoMa a New York gli dedicasse per i suoi 90 anni compiuti il 16 marzo 2016 una retrospettiva, dopo aver vinto a Venezia nel 1999 un Leone d’oro alla carriera e moltissimi attestati dai critici europei.
Fonte: Corriere della Sera