NAPOLI - Victor Osimhen, attaccante del Napoli, ha rilasciato un'intervista a Il Mattino:
"Inter? Non vediamo l’ora di ripartire. Nessuno di noi pensa che questi 8 punti di vantaggio sulla seconda diano delle garanzie per il futuro. Il campionato è lunghissimo e sappiamo che non dobbiamo mollare mai per conservare il primo posto. Nella testa c’è solo questo. Dobbiamo continuare così come abbiamo fatto in tutta la stagione. Dobbiamo lavorare forte, come se non fossimo davanti a tutti in classifica, senza pensare a chi non vede l’ora che arrivi una nostra sconfitta. L’Inter rappresenta un grande faccia a faccia, vogliamo vincere ma non sarà facile".
C'è un gol a cui si sente più affezionato?
"Sì, quello che ci farà vincere lo scudetto. Lo sogno già. Ci penso da quando sono qui, posso solo immaginare quello che succederebbe in città se dovessimo riuscire a conquistarlo. Ma ora la strada da percorrere è ancora lunga: quello che dobbiamo fare è continuare a vincere le partite".
Chi teme di più nella lotta per lo scudetto?
"Non lo so. Non ci penso. Sono concentrato su di noi. Siamo noi i padroni del nostro destino e noi dobbiamo pensare solo a noi stessi. Partita dopo partita".
C’è anche la Champions. Dove pensate di poter arrivare dopo aver incantato l’Europa nella fase a gironi?
"È un grande torneo, dà emozioni uniche. Ha un grande fascino e non vedo l’ora che arrivi il momento di affrontare l’Eintracht: noi sappiamo di essere forti ma sappiamo che anche loro lo sono e che superare il turno non sarà semplice. Ma arrivare ai quarti di finale è uno dei nostri obiettivi. E non lo nascondiamo".
Quanto è cambiato in questi ultimi mesi?
"Cambio sempre, ogni giorno. E quello che conta, ed è importante, è continuare a cambiare, a crescere, a fare un passo sempre in avanti. La mia crescita è legata a Spalletti: lui crede in me. Mi dà stimoli, mi fa lavorare sodo e non mi fa fermare mai. E con lui è tutto più semplice perché capisci che è un lavoro che ti fa fare per migliorare ancora. È solo l’inizio per me, non ho raggiunto ancora nessun traguardo".
In cosa pensa di poter migliorare ancora?
"Ho un video di quando avevo 17 anni che, in certi momenti, vado a rivedere. E lo faccio per capire il Victor di allora come è cambiato, in cosa è diverso. Metto a paragone ogni cosa, compresa la corsa. Sono stato capace di migliorarmi in tanti aspetti da allora e so che, grazie a Spalletti, sto continuando a migliorare. La mia concentrazione mi ha aiutato, così come le critiche costruttive, quelle fatte a fin di bene".
Il futuro è qui a Napoli?
"Il futuro è questo momento. È vincere qualcosa di importante in Italia. Difficile poter pensare a qualcosa di meglio del Napoli: è una delle più grandi squadre di Europa, è un club straordinario, ed è normale che adesso sono concentrato solo su quello che dobbiamo fare in questa stagione. Perché non abbiamo fatto ancora nulla: dobbiamo vincere qualcosa. Poi vedremo cosa succederà".
Maradona è sempre presente nella storia del Napoli, anche quella attuale. Vi pesa? Vi stimola?
"Ho visto la festa degli argentini nelle strade e nelle piazze di Napoli: impressionante. Non so neppure io cosa sia stato Maradona per Napoli, ma definirlo un dio non è una esagerazione. Ma lo è anche per questo club, per questa squadra. Per noi giocare nel Napoli significa anche onorare il suo nome: è un piacere, un motivo di orgoglio. Vogliamo vincere anche per rendere omaggio al suo ricordo, lui ha fatto così tanto per questa città e per questa squadra ed è bello vedere le sue immagini ovunque in giro, i murales, gli altarini. Qui Maradona esiste per sempre".
Osimhen lo sogna un murale per lui?
"Se vinciamo lo scudetto, lo fanno sicuramente a me. Ma non solo a me. Credo a tutta la squadra".
Ci può dire qualcosa sulla mascherina?
"L'infortunio è stato pesante, come l'operazione e il lungo periodo in cui sono stato fermo. Togliere la mascherina? Non ci penso proprio. Non c'entra nulla l'aspetto mentale, la mascherina è una protezione fisica e me la tengo. Non è una cosa di scaramanzia, sono più tranquillo così: la mia faccia la proteggo meglio indossandola. E non me la tolgo".
Il razzismo nei campi di calcio le dà fastidio?
"È un tema abusato sui social, dai tifosi rivali. Qui a Napoli mi sento in un posto accogliente, comprensivo, dove non ho mai avvertito nulla di discriminatorio. Non ci penso al razzismo, io penso a fare gol. Qui nel Napoli siamo tutti una famiglia, e poi qui sono tanti i calciatori di colore ed è bello ricevere tutto questo amore da parte dei tifosi azzurri".
C’è nelle sue parole spesso un senso di rivincita verso qualcosa o qualcuno: perché?
"In realtà solo a Wolfsburg ho pensato, solo per qualche istante, di poter mollare tutto. Ma è un pensiero che uno come me non ha mai accettato perché giocare al calcio, fare gol, è il sogno di sempre, è lo scopo della mia vita. E poi come potevo farlo, sapendo anche di avere delle responsabilità nei confronti delle mia famiglia? Più mi dicevano che era difficile e più aumentavo l’impegno, la forza. Io sono quel tipo di persona a cui se dicono che non può fare una cosa, fa di tutto per dimostrare il contrario. Io vivo di sfide, io vivo per superare me stesso. Non mi tiro mai indietro perché devo sempre dimostrare di essere capace di riuscire in ogni cosa".
A chi è più riconoscente?
"A tanti. Però penso spesso a Mario Gomez. A Wolfburg non è stato semplice e non solo per il clima: era la prima esperienza lontano da casa, praticamente in un altro mondo. E Mario a ogni allenamento si fermava con me, a darmi suggerimenti, a dirmi cosa fare per non fare errori. Mi ha dato fiducia: un grande campione che si dedicava a darmi suggerimenti. E io mi dicevo: se uno importante e bravo come lui perde tempo con uno come me, vuol dire che vede qualcosa in te che magari tu non hai ancora visto. Ed è stato l’insegnamento che mi ha aiutato a fare il passaggio chiave nella mia carriera".
Suo padre Patrick voleva che facesse il dottore.
"Sì, vero, sognava per me un futuro da medico. Ma io questo volevo fin da piccolo, perché è il pallone che mi ha sempre reso felice e mi ha aiutato a dimenticare quello che mi circondava. Anche quando giocavo a piedi nudi in Nigeria, quando non vivevo le mie giornate ma pensavo solo a sopravvivere ogni giorno. E per un bambino non è semplice".
“Sopravvivere”: cosa significa?
"Sono abituato ormai a spiegare alla gente che cosa vuol dire crescere a Olososun, nella periferia di Lagos. Quando ero piccolo non potevo riposarmi nelle comodità perché non le avevo: dovevo combattere ogni giorno senza mai sedermi, fermarmi, senza mai poter gioire davvero. Con il calcio come mio unico, grande sogno. La mia mentalità proviene da questo, dalla voglia di dover migliorare per forza. Per poter sopravvivere".
Lei è legatissimo al suo passato, non lo rinnega. È vero che conserva ancora le prime scarpe di calcio?
"Sono rovinate ma stanno con me. Me le ha regalate mio fratello Andrew. Le andammo a comprare nel mercato di Yaba. Le conservo per mia figlia: le mostrerò anche queste scarpe quando sarà grande. Per farle capire da dove siamo partiti".
E' da qualche mese diventato papà: lei che padre è?
"È la cosa più fantastica che poteva capitarmi: io la celebro dopo ogni gol, facendo il gesto dell’iniziale del suo nome, H. Si chiama Haly. La voglio sempre vicino a me, perché è questo il ricordo che anche io ho sempre di mio padre: lui al mio fianco. Sempre. Il tempo con lei è prezioso, voglio che diventi una donna che senta sempre di avere il padre al suo fianco".
La porterà a vedere dove lei è cresciuto?
"Un giorno andremo lì: dovrà sentire gli odori di quella terra, le dovrò mostrare i luoghi dove gli zii vendevano arance e i giornali e io tagliavo erba. Sarà importante per lei vedere dove è iniziata la nostra storia e che non è stato un cammino facile perché la vita non è facile. E per me sarà importante farglieli vedere quei posti, anche quelli dove vendevo l’acqua nelle strade di Lagos".
di Napoli Magazine
20/12/2022 - 08:38
NAPOLI - Victor Osimhen, attaccante del Napoli, ha rilasciato un'intervista a Il Mattino:
"Inter? Non vediamo l’ora di ripartire. Nessuno di noi pensa che questi 8 punti di vantaggio sulla seconda diano delle garanzie per il futuro. Il campionato è lunghissimo e sappiamo che non dobbiamo mollare mai per conservare il primo posto. Nella testa c’è solo questo. Dobbiamo continuare così come abbiamo fatto in tutta la stagione. Dobbiamo lavorare forte, come se non fossimo davanti a tutti in classifica, senza pensare a chi non vede l’ora che arrivi una nostra sconfitta. L’Inter rappresenta un grande faccia a faccia, vogliamo vincere ma non sarà facile".
C'è un gol a cui si sente più affezionato?
"Sì, quello che ci farà vincere lo scudetto. Lo sogno già. Ci penso da quando sono qui, posso solo immaginare quello che succederebbe in città se dovessimo riuscire a conquistarlo. Ma ora la strada da percorrere è ancora lunga: quello che dobbiamo fare è continuare a vincere le partite".
Chi teme di più nella lotta per lo scudetto?
"Non lo so. Non ci penso. Sono concentrato su di noi. Siamo noi i padroni del nostro destino e noi dobbiamo pensare solo a noi stessi. Partita dopo partita".
C’è anche la Champions. Dove pensate di poter arrivare dopo aver incantato l’Europa nella fase a gironi?
"È un grande torneo, dà emozioni uniche. Ha un grande fascino e non vedo l’ora che arrivi il momento di affrontare l’Eintracht: noi sappiamo di essere forti ma sappiamo che anche loro lo sono e che superare il turno non sarà semplice. Ma arrivare ai quarti di finale è uno dei nostri obiettivi. E non lo nascondiamo".
Quanto è cambiato in questi ultimi mesi?
"Cambio sempre, ogni giorno. E quello che conta, ed è importante, è continuare a cambiare, a crescere, a fare un passo sempre in avanti. La mia crescita è legata a Spalletti: lui crede in me. Mi dà stimoli, mi fa lavorare sodo e non mi fa fermare mai. E con lui è tutto più semplice perché capisci che è un lavoro che ti fa fare per migliorare ancora. È solo l’inizio per me, non ho raggiunto ancora nessun traguardo".
In cosa pensa di poter migliorare ancora?
"Ho un video di quando avevo 17 anni che, in certi momenti, vado a rivedere. E lo faccio per capire il Victor di allora come è cambiato, in cosa è diverso. Metto a paragone ogni cosa, compresa la corsa. Sono stato capace di migliorarmi in tanti aspetti da allora e so che, grazie a Spalletti, sto continuando a migliorare. La mia concentrazione mi ha aiutato, così come le critiche costruttive, quelle fatte a fin di bene".
Il futuro è qui a Napoli?
"Il futuro è questo momento. È vincere qualcosa di importante in Italia. Difficile poter pensare a qualcosa di meglio del Napoli: è una delle più grandi squadre di Europa, è un club straordinario, ed è normale che adesso sono concentrato solo su quello che dobbiamo fare in questa stagione. Perché non abbiamo fatto ancora nulla: dobbiamo vincere qualcosa. Poi vedremo cosa succederà".
Maradona è sempre presente nella storia del Napoli, anche quella attuale. Vi pesa? Vi stimola?
"Ho visto la festa degli argentini nelle strade e nelle piazze di Napoli: impressionante. Non so neppure io cosa sia stato Maradona per Napoli, ma definirlo un dio non è una esagerazione. Ma lo è anche per questo club, per questa squadra. Per noi giocare nel Napoli significa anche onorare il suo nome: è un piacere, un motivo di orgoglio. Vogliamo vincere anche per rendere omaggio al suo ricordo, lui ha fatto così tanto per questa città e per questa squadra ed è bello vedere le sue immagini ovunque in giro, i murales, gli altarini. Qui Maradona esiste per sempre".
Osimhen lo sogna un murale per lui?
"Se vinciamo lo scudetto, lo fanno sicuramente a me. Ma non solo a me. Credo a tutta la squadra".
Ci può dire qualcosa sulla mascherina?
"L'infortunio è stato pesante, come l'operazione e il lungo periodo in cui sono stato fermo. Togliere la mascherina? Non ci penso proprio. Non c'entra nulla l'aspetto mentale, la mascherina è una protezione fisica e me la tengo. Non è una cosa di scaramanzia, sono più tranquillo così: la mia faccia la proteggo meglio indossandola. E non me la tolgo".
Il razzismo nei campi di calcio le dà fastidio?
"È un tema abusato sui social, dai tifosi rivali. Qui a Napoli mi sento in un posto accogliente, comprensivo, dove non ho mai avvertito nulla di discriminatorio. Non ci penso al razzismo, io penso a fare gol. Qui nel Napoli siamo tutti una famiglia, e poi qui sono tanti i calciatori di colore ed è bello ricevere tutto questo amore da parte dei tifosi azzurri".
C’è nelle sue parole spesso un senso di rivincita verso qualcosa o qualcuno: perché?
"In realtà solo a Wolfsburg ho pensato, solo per qualche istante, di poter mollare tutto. Ma è un pensiero che uno come me non ha mai accettato perché giocare al calcio, fare gol, è il sogno di sempre, è lo scopo della mia vita. E poi come potevo farlo, sapendo anche di avere delle responsabilità nei confronti delle mia famiglia? Più mi dicevano che era difficile e più aumentavo l’impegno, la forza. Io sono quel tipo di persona a cui se dicono che non può fare una cosa, fa di tutto per dimostrare il contrario. Io vivo di sfide, io vivo per superare me stesso. Non mi tiro mai indietro perché devo sempre dimostrare di essere capace di riuscire in ogni cosa".
A chi è più riconoscente?
"A tanti. Però penso spesso a Mario Gomez. A Wolfburg non è stato semplice e non solo per il clima: era la prima esperienza lontano da casa, praticamente in un altro mondo. E Mario a ogni allenamento si fermava con me, a darmi suggerimenti, a dirmi cosa fare per non fare errori. Mi ha dato fiducia: un grande campione che si dedicava a darmi suggerimenti. E io mi dicevo: se uno importante e bravo come lui perde tempo con uno come me, vuol dire che vede qualcosa in te che magari tu non hai ancora visto. Ed è stato l’insegnamento che mi ha aiutato a fare il passaggio chiave nella mia carriera".
Suo padre Patrick voleva che facesse il dottore.
"Sì, vero, sognava per me un futuro da medico. Ma io questo volevo fin da piccolo, perché è il pallone che mi ha sempre reso felice e mi ha aiutato a dimenticare quello che mi circondava. Anche quando giocavo a piedi nudi in Nigeria, quando non vivevo le mie giornate ma pensavo solo a sopravvivere ogni giorno. E per un bambino non è semplice".
“Sopravvivere”: cosa significa?
"Sono abituato ormai a spiegare alla gente che cosa vuol dire crescere a Olososun, nella periferia di Lagos. Quando ero piccolo non potevo riposarmi nelle comodità perché non le avevo: dovevo combattere ogni giorno senza mai sedermi, fermarmi, senza mai poter gioire davvero. Con il calcio come mio unico, grande sogno. La mia mentalità proviene da questo, dalla voglia di dover migliorare per forza. Per poter sopravvivere".
Lei è legatissimo al suo passato, non lo rinnega. È vero che conserva ancora le prime scarpe di calcio?
"Sono rovinate ma stanno con me. Me le ha regalate mio fratello Andrew. Le andammo a comprare nel mercato di Yaba. Le conservo per mia figlia: le mostrerò anche queste scarpe quando sarà grande. Per farle capire da dove siamo partiti".
E' da qualche mese diventato papà: lei che padre è?
"È la cosa più fantastica che poteva capitarmi: io la celebro dopo ogni gol, facendo il gesto dell’iniziale del suo nome, H. Si chiama Haly. La voglio sempre vicino a me, perché è questo il ricordo che anche io ho sempre di mio padre: lui al mio fianco. Sempre. Il tempo con lei è prezioso, voglio che diventi una donna che senta sempre di avere il padre al suo fianco".
La porterà a vedere dove lei è cresciuto?
"Un giorno andremo lì: dovrà sentire gli odori di quella terra, le dovrò mostrare i luoghi dove gli zii vendevano arance e i giornali e io tagliavo erba. Sarà importante per lei vedere dove è iniziata la nostra storia e che non è stato un cammino facile perché la vita non è facile. E per me sarà importante farglieli vedere quei posti, anche quelli dove vendevo l’acqua nelle strade di Lagos".