NAPOLI - Nemmeno l’ebbrezza di un gol del Milan ha scacciato la mala notte del Napoli, perché é stato solo un sussulto quell’1-1 a Torino, momentaneo come le gioie che fuggono via, divorato dalla Juve, che come una iena insaziabile, é uscita dalla tana per far sua la partita. Poi c’è l’altra storia, quella del Napoli, che sta dando l’impressione di non poter rispettare più la propria missione di bellezza, finendone, com’è adesso, prigioniero. Tuttavia é una prigionia che dura da quattro turni: dalla Roma al Sassuolo. Quattro partite, tre punti, cinque gol incassati, quattro realizzati. Sono i segni di questa involuzione della squadra, fino a poco fa, temuta per la sua formula d’attacco e d’avventura. Anche nel sabato di Pasqua s’é, purtroppo, onorato quel patto d’onore contro i gol ignoranti, un giuramento di sangue contro la prosa dei tocchi di piatto, a favore della poesia dei colpi di tacco e dei tiri a giro. La somma? Un mucchietto di occasioni sprecate e palle perse. Il Napoli che era a un soffio dalla Juve è stato ricacciato indietro dal gol di Politano, l’ultima beffa di mercato. Un finisseur del pallone sul cui piede é rimbalzato, dalla traversa, un colpo di testa sfuggito, ancora una volta, alla difesa caduta in trance da marcatura a zona. Sarri sta pagando anche questo: la fede a oltranza a un modo di difendere e verso un attacco solo di manovra e non con un centravanti vero. Un reparto più tecnico che fisico, capace di aprire varchi con il movimento. «Il nostro numero 9 è lo spazio», spiegava, quando era là, Guardiola ai suoi al Barcellona. Poteva dirlo a una squadra di campioni e fuoriclasse. Qui lo spazio, riempito un tempo da Higuain, e fin quando ha potuto da Mertens, resta quello vuoto del Napoli. La vera bellezza che manca è a forma di gol. Praticità e solidità: già, questa fuga scudetto di Allegri si spiega anche così.