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LUTTO - E' morto Stan Lee, inventò Spider-Man e tutti i supereroi con superproblemi
12.11.2018 20:44 di Napoli Magazine Fonte: Corriere della Sera

Non aveva inventato i supereroi, ma li rigenerò e li rilanciò in maniera inaspettata, costruendo su di essi, pezzo per pezzo, quella che è tuttora la più importante casa editrice di fumetti al mondo. L’opera di Stan Lee, scomparso all’età di 95 anni, s’identifica con la storia della Marvel e con una grossa fetta dell’immaginario collettivo contemporaneo, allargata a dismisura dal successo internazionale dei film che vedono protagonisti i personaggi da lui creati: un’autentica armata di eroi e criminali, tutti dotati di superpoteri, che si calcola comprenda ben 343 nomi. Tra di essi i Fantastici Quattro, Hulk, l’Uomo Ragno, gli X-Men, solo per citare alcuni tra i più noti.

 

Nato a New York il 28 dicembre 1922, il papà dei Vendicatori (Avengers) e di Iron Man si chiamava all’anagrafe Stanley Martin Lieber e veniva da una famiglia di ebrei romeni immigrati negli Stati Uniti. Sin da ragazzo aveva cominciato a scrivere brevi testi per la Timely Comics dell’editore Martin Goodman, suo zio acquisito, e a soli 17 anni ne era diventato il più giovane sceneggiatore. Ma dopo le tirature altissime degli anni Quaranta i fumetti americani erano entrati in crisi nel decennio seguente, per via di una dura campagna che li additava come immorali e addirittura responsabili della crescente delinquenza minorile. Tempi grami di censura e di vendite in calo.

 

Poi la svolta. Nel 1961 uno Stan Lee non ancora quarantenne riceve da Goodman l’incarico di creare un nuovo gruppo di supereroi. E in coppia con il formidabile disegnatore Jack Kirby dà inizio a una leggenda dei fumetti: nascono i Fantastici Quattro, eroi che affrontano minacce cosmiche eppure si comportano come una famiglia, legata da forti vincoli affettivi, ma attraversata da tensioni, risentimenti, gelosie. Personaggi sorprendentemente umani, anzi troppo umani, potentissimi ma afflitti da un bel po’ di lati deboli. È la formula vincente dei «supereroi con superproblemi», grazie alla quale Lee conquista le nuove generazioni.

 

Da questo punto di vista il suo capolavoro è l’Uomo Ragno, o Spider-Man che dir si voglia, ideato nel 1962 in collaborazione con il disegnatore Steve Ditko. L’adolescente timido e studioso Peter Parker acquista capacità eccezionali grazie al morso di un ragno radioattivo, ma solo dopo l’assassino dell’amato zio Ben, che lo ha allevato in seguito alla morte dei genitori, capisce che deve usarle per lottare contro la malavita. È un eroe che senza maschera conduce una vita affannosa (non ha un soldo, fatica a trovare una ragazza) ed è malvisto dalla stampa quando entra in azione con il costume addosso. Non gliene va bene una e proprio per questo i giovani lettori si appassionano alle sue vicissitudini.

 

Così la Marvel Comics, denominazione assunta dalla Timely negli anni Sessanta, scala le classifiche delle vendite, umiliando i rivali della Dc Comics che pubblicano le avventure di Superman e Batman. Lee partorisce storie e personaggi a tutto spiano, con ritmi di lavoro impressionanti: per giunta intreccia le vicende dei vari supereroi, che s’incontrano e scontrano di continuo, a New York o nello spazio, fino a comporre un vero e proprio universo narrativo. Instaura anche un rapporto diretto con i lettori attraverso le pagine della posta contenute negli albi a fumetti. Ma non riuscirebbe a seguire tante testate, con trovate sempre emozionanti, se al suo fianco non ci fosse un asso come Kirby, il cui contributo creativo è immenso e non viene adeguatamente riconosciuto. Il portentoso binomio della Marvel si rompe nel 1970, con il disegnatore che passa alla Dc Comics.

 

Tra i due pesa anche una scarsa compatibilità caratteriale. Lee è solare, scanzonato, forse un po’ fatuo: soprannominato The Smilin’, «il Sorridente», mette in bocca battute surreali ai supereroi nel bel mezzo dei combattimenti e alcuni maligni insinuano che tanto buonumore derivi dai dollari accumulati a montagne. Kirby ha un’indole più malinconica, nella quale il sarcasmo prevale sull’ironia, con tratti cupi che emergono nelle splendide tavole: il rancore per la mancata ricompensa dei suoi meriti lo spingerà, una volta lasciata la Marvel, a produrre una velenosa parodia di Lee, bollato come un ciarliero furbastro scansafatiche nei panni di Funky Flashman.

 

Si tratta però di un ritratto ingiusto. Lee avrà i suoi difetti, ma dimostra anche coraggio e sensibilità sociale: sfida per esempio la censura, all’epoca molto rigida, quando nel 1971 introduce per la prima volta nei fumetti il tema della droga con una storia dell’Uomo Ragno rimasta memorabile. Non è un episodio sporadico: anche se rimane sempre fedele al mito americano e convintamente anticomunista, Stan non ha paura di misurarsi con i problemi più scottanti del suo Paese.

 

Per esempio evoca già nei primi anni Sessanta la questione razziale, con la paura dei diversi (i mutanti dotati di superpoteri dalla nascita) che è il motivo portante della serie X-Men e per altri versi anche delle saghe amare di Hulk. Mette in scena indirettamente i contrasti generazionali e la rivolta giovanile con il dissidio tra il dio Thor e il padre Odino. Crea un supereroe cieco (Daredevil, Devil in Italia) e altri con la pelle nera (Pantera Nera, Falcon, Luke Cage). In tempi di rigurgitante razzismo è stato giustamente richiamato un commento contro l’odio e il pregiudizio apparso nella sua rubrica di dialogo con i lettori, Stan’s Soapbox («Il palchetto di Stan»), in quel 1968 che vide gli omicidi di Martin Luther King e Robert Kennedy.

 

Nel 1972 Lee aveva abbandonato la direzione editoriale della Marvel, ma ne era rimasto l’uomo immagine più prestigioso. Inoltre aveva perseguito altri progetti creativi, non sempre riusciti. Il suo sogno di promuovere una versione cinematografica e televisiva dell’universo Marvel si è avverato solo quando l’impiego di capitali adeguati e l’avvento delle tecnologie digitali hanno permesso una resa ottimale dei superpoteri sul grande schermo. Da allora Stan, benché ormai anziano, era comparso più volte nei film dedicati alle sue creature, con brevi particine di pochi istanti, i cosiddetti camei, quasi per assegnare un marchio di qualità a quelle produzioni così popolari. Sempre allegro e ammiccante, sempre animato dall’ottimismo del sogno americano. Non si può che ricordarlo così.

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LUTTO - E' morto Stan Lee, inventò Spider-Man e tutti i supereroi con superproblemi

di Napoli Magazine

12/11/2024 - 20:44

Non aveva inventato i supereroi, ma li rigenerò e li rilanciò in maniera inaspettata, costruendo su di essi, pezzo per pezzo, quella che è tuttora la più importante casa editrice di fumetti al mondo. L’opera di Stan Lee, scomparso all’età di 95 anni, s’identifica con la storia della Marvel e con una grossa fetta dell’immaginario collettivo contemporaneo, allargata a dismisura dal successo internazionale dei film che vedono protagonisti i personaggi da lui creati: un’autentica armata di eroi e criminali, tutti dotati di superpoteri, che si calcola comprenda ben 343 nomi. Tra di essi i Fantastici Quattro, Hulk, l’Uomo Ragno, gli X-Men, solo per citare alcuni tra i più noti.

 

Nato a New York il 28 dicembre 1922, il papà dei Vendicatori (Avengers) e di Iron Man si chiamava all’anagrafe Stanley Martin Lieber e veniva da una famiglia di ebrei romeni immigrati negli Stati Uniti. Sin da ragazzo aveva cominciato a scrivere brevi testi per la Timely Comics dell’editore Martin Goodman, suo zio acquisito, e a soli 17 anni ne era diventato il più giovane sceneggiatore. Ma dopo le tirature altissime degli anni Quaranta i fumetti americani erano entrati in crisi nel decennio seguente, per via di una dura campagna che li additava come immorali e addirittura responsabili della crescente delinquenza minorile. Tempi grami di censura e di vendite in calo.

 

Poi la svolta. Nel 1961 uno Stan Lee non ancora quarantenne riceve da Goodman l’incarico di creare un nuovo gruppo di supereroi. E in coppia con il formidabile disegnatore Jack Kirby dà inizio a una leggenda dei fumetti: nascono i Fantastici Quattro, eroi che affrontano minacce cosmiche eppure si comportano come una famiglia, legata da forti vincoli affettivi, ma attraversata da tensioni, risentimenti, gelosie. Personaggi sorprendentemente umani, anzi troppo umani, potentissimi ma afflitti da un bel po’ di lati deboli. È la formula vincente dei «supereroi con superproblemi», grazie alla quale Lee conquista le nuove generazioni.

 

Da questo punto di vista il suo capolavoro è l’Uomo Ragno, o Spider-Man che dir si voglia, ideato nel 1962 in collaborazione con il disegnatore Steve Ditko. L’adolescente timido e studioso Peter Parker acquista capacità eccezionali grazie al morso di un ragno radioattivo, ma solo dopo l’assassino dell’amato zio Ben, che lo ha allevato in seguito alla morte dei genitori, capisce che deve usarle per lottare contro la malavita. È un eroe che senza maschera conduce una vita affannosa (non ha un soldo, fatica a trovare una ragazza) ed è malvisto dalla stampa quando entra in azione con il costume addosso. Non gliene va bene una e proprio per questo i giovani lettori si appassionano alle sue vicissitudini.

 

Così la Marvel Comics, denominazione assunta dalla Timely negli anni Sessanta, scala le classifiche delle vendite, umiliando i rivali della Dc Comics che pubblicano le avventure di Superman e Batman. Lee partorisce storie e personaggi a tutto spiano, con ritmi di lavoro impressionanti: per giunta intreccia le vicende dei vari supereroi, che s’incontrano e scontrano di continuo, a New York o nello spazio, fino a comporre un vero e proprio universo narrativo. Instaura anche un rapporto diretto con i lettori attraverso le pagine della posta contenute negli albi a fumetti. Ma non riuscirebbe a seguire tante testate, con trovate sempre emozionanti, se al suo fianco non ci fosse un asso come Kirby, il cui contributo creativo è immenso e non viene adeguatamente riconosciuto. Il portentoso binomio della Marvel si rompe nel 1970, con il disegnatore che passa alla Dc Comics.

 

Tra i due pesa anche una scarsa compatibilità caratteriale. Lee è solare, scanzonato, forse un po’ fatuo: soprannominato The Smilin’, «il Sorridente», mette in bocca battute surreali ai supereroi nel bel mezzo dei combattimenti e alcuni maligni insinuano che tanto buonumore derivi dai dollari accumulati a montagne. Kirby ha un’indole più malinconica, nella quale il sarcasmo prevale sull’ironia, con tratti cupi che emergono nelle splendide tavole: il rancore per la mancata ricompensa dei suoi meriti lo spingerà, una volta lasciata la Marvel, a produrre una velenosa parodia di Lee, bollato come un ciarliero furbastro scansafatiche nei panni di Funky Flashman.

 

Si tratta però di un ritratto ingiusto. Lee avrà i suoi difetti, ma dimostra anche coraggio e sensibilità sociale: sfida per esempio la censura, all’epoca molto rigida, quando nel 1971 introduce per la prima volta nei fumetti il tema della droga con una storia dell’Uomo Ragno rimasta memorabile. Non è un episodio sporadico: anche se rimane sempre fedele al mito americano e convintamente anticomunista, Stan non ha paura di misurarsi con i problemi più scottanti del suo Paese.

 

Per esempio evoca già nei primi anni Sessanta la questione razziale, con la paura dei diversi (i mutanti dotati di superpoteri dalla nascita) che è il motivo portante della serie X-Men e per altri versi anche delle saghe amare di Hulk. Mette in scena indirettamente i contrasti generazionali e la rivolta giovanile con il dissidio tra il dio Thor e il padre Odino. Crea un supereroe cieco (Daredevil, Devil in Italia) e altri con la pelle nera (Pantera Nera, Falcon, Luke Cage). In tempi di rigurgitante razzismo è stato giustamente richiamato un commento contro l’odio e il pregiudizio apparso nella sua rubrica di dialogo con i lettori, Stan’s Soapbox («Il palchetto di Stan»), in quel 1968 che vide gli omicidi di Martin Luther King e Robert Kennedy.

 

Nel 1972 Lee aveva abbandonato la direzione editoriale della Marvel, ma ne era rimasto l’uomo immagine più prestigioso. Inoltre aveva perseguito altri progetti creativi, non sempre riusciti. Il suo sogno di promuovere una versione cinematografica e televisiva dell’universo Marvel si è avverato solo quando l’impiego di capitali adeguati e l’avvento delle tecnologie digitali hanno permesso una resa ottimale dei superpoteri sul grande schermo. Da allora Stan, benché ormai anziano, era comparso più volte nei film dedicati alle sue creature, con brevi particine di pochi istanti, i cosiddetti camei, quasi per assegnare un marchio di qualità a quelle produzioni così popolari. Sempre allegro e ammiccante, sempre animato dall’ottimismo del sogno americano. Non si può che ricordarlo così.

Fonte: Corriere della Sera