Calcio
DAILY MAIL - Falco: "Maradona ha cambiato il punto di vista con cui la gente ha osservato Napoli nel mondo"
27.11.2020 20:43 di Napoli Magazine

Andrea Falco, giornalista, ha scritto per il Daily Mail la sua reazione in seguito alla morte di Maradona. Ecco la traduzione dell'articolo (leggi qui): "Ti prego, dimmi che non è vero”. Le 5:00 PM di un giorno qualsiasi, non so quanti messaggi così avrò ricevuto. Suona il telefono, è l’editore della radio. Edizione speciale, si va in onda dalle 6 PM fino alla mezzanotte. Linee aperte alla gente, perché più dei conduttori, dei tecnici e degli ex compagni è la gente che deve parlare: è il popolo che ha appena perso il suo Messia in terra. Facile scadere nella retorica quando si parla di ciò che Maradona rappresenta per Napoli. Meglio il racconto, quello delle persone che telefonano in diretta piangendo: “Mia madre è morta di nuovo”, ci dicono. “Andavo allo stadio con mio padre e mio fratello prima che li perdessi, e adesso ho perso anche Lui”. Il 25 novembre del 2020, a Napoli ci sono in vigore regole da Lockdown, non si potrebbe uscire in strada se non per urgenza, e questa lo è, tanto che anche le autorità lasciano fare. Due i luoghi della città che diventano immediatamente dei santuari improvvisati. La zona dei ‘Quartieri Spagnoli’, in pieno centro, dove capeggia il famoso murales con il volto di Diego e, ovviamente, l’esterno dello stadio San Paolo, la cattedrale, che da oggi si chiama “Stadio Diego Armando Maradona” di Napoli (e ci mancherebbe). Il contrasto è lo stesso di 30 anni fa, quello dell’epoca in cui il Napoli vinceva il suo ultimo scudetto e del mondiale in Italia, quando Maradona e la sua Argentina spezzarono in semifinale il sogno degli azzurri padroni di casa senza che questo gli venisse mai perdonato. Prima di quella partita, che si giocò proprio a Napoli con più di mezzo stadio che tifava più Argentina che Italia, sulle polemiche della vigilia Diego disse: “Gli italiani si ricordano di Napoli solo quando c’è la nazionale”. Ancora oggi, capita che quando il Napoli è in trasferta la partita venga sospesa per cori di discriminazione territoriale, come avviene per le manifestazioni di razzismo contro i calciatori di colore. In quanti altri posti succede? Diego lo aveva capito, e ne aveva fatto una battaglia personale. Il più grande di tutti “era più napoletano dei napoletani”, come l’ha definito ieri l’ex presidente Ferlaino. E così mentre a Napoli la gente si riversa in strada in un fiume di commozione, alla tv nazionale si parla dell’infrazione che i cittadini stanno commettendo violando le leggi di pandemia. Mentre a Napoli si piange il Dio del calcio, alla tv si parla dei suoi vizi, la droga e la Camorra. Solo Napoli poteva capire Diego, solo Diego poteva capire Napoli, nel binomio forse più riuscito nella storia dello sport e non solo. Genio estremo e smodata follia, intrecciati in un comune desiderio di riscatto. Napoli è la terza città d’Italia per numero di abitanti. La capitale del sud, un polo di smisurata storia, arte, musica e cultura, ma non occupa la medesima posizione nella classifica della considerazione nazionale, da cui è declassata a città Serie B. Non in quegli anni tra il 1984 e il 1991 però, non con Maradona. Solo Lui, d’altronde, poteva prendere una squadra che non aveva mai vinto (e che dopo mai ha vinto più) e portarla a trionfare in Italia e in Europa. Per la prima e ultima volta, Napoli guardava tutti dall’alto verso il basso; non il club, ma la città e la sua gente, a cui da sempre è stato detto che quella vetta non gli appartiene. Per Diego però, non piange solo la generazione che l’ha vissuto, ma anche quella di chi come me non ha fatto a tempo a vederlo giocare. Eppure c’era. Tutti noi abbiamo un papà che ci racconta di cosa è stato e non sarà mai più. Tutti giocano in strada, e a quello che non passa mai la palla dicono: “Mica sei Maradona!”. Tutti, quando andarono per la prima volta allo stadio, sentivano ancora la presenza di Diego. La vedevi nello spettatore davanti a te, che decenni dopo ha ancora indosso la sua maglia numero 10. Lo senti nella voce di chi si lamenta per un passaggio sbagliato “Ah, quando c’era Maradona....”. D’altronde, è sufficiente fare un giro in città: un segnale a ogni angolo, una foto in ogni bar, a Napoli c’è persino un altare sacro dedicato a Maradona, e questo da ben prima che fosse morto. La gratitudine, che diventa adorazione, va oltre i due scudetti (gli unici nella storia del club) e una Coppa UEFA. La gratitudine è per aver messo la sua grandezza al servizio del più debole, rappresentando e riscattando agli occhi del mondo una città martoriata da tanti problemi, uno su tutti i luoghi comuni. Probabilmente la maggior parte dei britannici sa che quando mangia una pizza sta apprezzando un piatto italiano, ma solo alcuni sanno che quella vera invece non la fanno “in Italia”, ma solo a Napoli. Non vi è dubbio invece, dalle Malesia alla Groenlandia, che per fondare il suo regno il più grande di tutti ha scelto proprio Napoli, e nessun’altra. Ed è questa la benedizione più grande della storia di questa città, in assoluto. Una maglia numero 10, contro un esercito di ingiustizie. Davvero qualcuno ancora crede che stiamo parlando di calcio?".

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DAILY MAIL - Falco: "Maradona ha cambiato il punto di vista con cui la gente ha osservato Napoli nel mondo"

di Napoli Magazine

27/11/2024 - 20:43

Andrea Falco, giornalista, ha scritto per il Daily Mail la sua reazione in seguito alla morte di Maradona. Ecco la traduzione dell'articolo (leggi qui): "Ti prego, dimmi che non è vero”. Le 5:00 PM di un giorno qualsiasi, non so quanti messaggi così avrò ricevuto. Suona il telefono, è l’editore della radio. Edizione speciale, si va in onda dalle 6 PM fino alla mezzanotte. Linee aperte alla gente, perché più dei conduttori, dei tecnici e degli ex compagni è la gente che deve parlare: è il popolo che ha appena perso il suo Messia in terra. Facile scadere nella retorica quando si parla di ciò che Maradona rappresenta per Napoli. Meglio il racconto, quello delle persone che telefonano in diretta piangendo: “Mia madre è morta di nuovo”, ci dicono. “Andavo allo stadio con mio padre e mio fratello prima che li perdessi, e adesso ho perso anche Lui”. Il 25 novembre del 2020, a Napoli ci sono in vigore regole da Lockdown, non si potrebbe uscire in strada se non per urgenza, e questa lo è, tanto che anche le autorità lasciano fare. Due i luoghi della città che diventano immediatamente dei santuari improvvisati. La zona dei ‘Quartieri Spagnoli’, in pieno centro, dove capeggia il famoso murales con il volto di Diego e, ovviamente, l’esterno dello stadio San Paolo, la cattedrale, che da oggi si chiama “Stadio Diego Armando Maradona” di Napoli (e ci mancherebbe). Il contrasto è lo stesso di 30 anni fa, quello dell’epoca in cui il Napoli vinceva il suo ultimo scudetto e del mondiale in Italia, quando Maradona e la sua Argentina spezzarono in semifinale il sogno degli azzurri padroni di casa senza che questo gli venisse mai perdonato. Prima di quella partita, che si giocò proprio a Napoli con più di mezzo stadio che tifava più Argentina che Italia, sulle polemiche della vigilia Diego disse: “Gli italiani si ricordano di Napoli solo quando c’è la nazionale”. Ancora oggi, capita che quando il Napoli è in trasferta la partita venga sospesa per cori di discriminazione territoriale, come avviene per le manifestazioni di razzismo contro i calciatori di colore. In quanti altri posti succede? Diego lo aveva capito, e ne aveva fatto una battaglia personale. Il più grande di tutti “era più napoletano dei napoletani”, come l’ha definito ieri l’ex presidente Ferlaino. E così mentre a Napoli la gente si riversa in strada in un fiume di commozione, alla tv nazionale si parla dell’infrazione che i cittadini stanno commettendo violando le leggi di pandemia. Mentre a Napoli si piange il Dio del calcio, alla tv si parla dei suoi vizi, la droga e la Camorra. Solo Napoli poteva capire Diego, solo Diego poteva capire Napoli, nel binomio forse più riuscito nella storia dello sport e non solo. Genio estremo e smodata follia, intrecciati in un comune desiderio di riscatto. Napoli è la terza città d’Italia per numero di abitanti. La capitale del sud, un polo di smisurata storia, arte, musica e cultura, ma non occupa la medesima posizione nella classifica della considerazione nazionale, da cui è declassata a città Serie B. Non in quegli anni tra il 1984 e il 1991 però, non con Maradona. Solo Lui, d’altronde, poteva prendere una squadra che non aveva mai vinto (e che dopo mai ha vinto più) e portarla a trionfare in Italia e in Europa. Per la prima e ultima volta, Napoli guardava tutti dall’alto verso il basso; non il club, ma la città e la sua gente, a cui da sempre è stato detto che quella vetta non gli appartiene. Per Diego però, non piange solo la generazione che l’ha vissuto, ma anche quella di chi come me non ha fatto a tempo a vederlo giocare. Eppure c’era. Tutti noi abbiamo un papà che ci racconta di cosa è stato e non sarà mai più. Tutti giocano in strada, e a quello che non passa mai la palla dicono: “Mica sei Maradona!”. Tutti, quando andarono per la prima volta allo stadio, sentivano ancora la presenza di Diego. La vedevi nello spettatore davanti a te, che decenni dopo ha ancora indosso la sua maglia numero 10. Lo senti nella voce di chi si lamenta per un passaggio sbagliato “Ah, quando c’era Maradona....”. D’altronde, è sufficiente fare un giro in città: un segnale a ogni angolo, una foto in ogni bar, a Napoli c’è persino un altare sacro dedicato a Maradona, e questo da ben prima che fosse morto. La gratitudine, che diventa adorazione, va oltre i due scudetti (gli unici nella storia del club) e una Coppa UEFA. La gratitudine è per aver messo la sua grandezza al servizio del più debole, rappresentando e riscattando agli occhi del mondo una città martoriata da tanti problemi, uno su tutti i luoghi comuni. Probabilmente la maggior parte dei britannici sa che quando mangia una pizza sta apprezzando un piatto italiano, ma solo alcuni sanno che quella vera invece non la fanno “in Italia”, ma solo a Napoli. Non vi è dubbio invece, dalle Malesia alla Groenlandia, che per fondare il suo regno il più grande di tutti ha scelto proprio Napoli, e nessun’altra. Ed è questa la benedizione più grande della storia di questa città, in assoluto. Una maglia numero 10, contro un esercito di ingiustizie. Davvero qualcuno ancora crede che stiamo parlando di calcio?".