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IL COMMENTO - Lucchesi: "Napoli, la sola presenza di De Bruyne può dare tanto, i giovani hanno bisogno di esempi in campo e fuori"
11.06.2025 11:46 di Napoli Magazine
A "1 Football Club", programma radiofonico condotto da Luca Cerchione in onda su 1 Station Radio, è intervenuto Fabrizio Lucchesi, direttore sportivo ex, fra le tante, di Roma ed Empoli:
 
Direttore, con lei che è un espertissimo dirigente sportivo, partirei dal tema più scottante di questi ultimi giorni: la crisi della Nazionale italiana. Secondo lei, è una crisi che si risolverà semplicemente cambiando il commissario tecnico? 
 
"Sarebbe troppo bello, troppo facile. Purtroppo non credo proprio che basti. Francamente mi sembra difficile pensare che sia solo una questione di allenatore. Il problema arriva da molto lontano, è un problema di sistema. Parliamo della formazione degli atleti, della struttura dei campionati, dello stato di salute del nostro ordinamento calcistico. La vittoria all’Europeo ci ha dato l’illusione che tutto fosse a posto, ma in realtà non lo era. Anzi, le cose sono peggiorate. Spalletti, che sicuramente ha commesso qualche errore, oggi paga il prezzo della situazione. Ma il problema è ben più profondo. Anche perché se fosse solo un problema di allenatore, sarebbe tutto molto più semplice da risolvere. Oggi, però, il prodotto che offriamo è inferiore. Non siamo più quelli di 20 anni fa. Non siamo più il centro del mercato europeo, anzi oggi siamo la terza o quarta scelta. Una volta tutti volevano venire a giocare in Italia, oggi non è più così. Lo diceva anche Marotta qualche giorno fa: non siamo più competitivi. E poi c’è un problema culturale: facciamo fatica a far giocare i giovani. Da noi, dopo tre partite sbagliate, un ragazzo viene messo in discussione. In altri Paesi, come l’Inghilterra, i giovani vengono protetti e valorizzati anche per anni. Questo è un problema strutturale che non si risolve solo con un cambio in panchina. Il problema principale resta la produzione di talenti. Su 500 giocatori in Serie A, il 55% sono stranieri. Dei pochi italiani rimasti, solo il 50% gioca davvero. Questo è il punto. Con Spalletti ne parlavamo poco tempo fa: lui cercava di fare la Nazionale ma si lamentava di avere un bacino di soli 175 giocatori realmente selezionabili. È troppo poco, pensando che altrove ne hanno oltre mille. Eppure, a ogni fallimento sportivo, ci si limita a cambiare l’allenatore".
 
Direttore, le chiedo: quando lei era dirigente in un club, se per anni non avesse portato risultati, non sarebbe stato messo in discussione? Perché non accade lo stesso con i vertici della FIGC? 
 
"In effetti è un’anomalia tutta italiana. Da qualche anno si è tentato di dare alla Federazione un modello simile a quello dei club, più funzionale, più organizzato, il cosiddetto ‘Club Italia’. Ma in realtà il funzionamento è completamente diverso. Nel club hai i giocatori di proprietà, li gestisci quotidianamente. Nella Nazionale, invece, i club ti ‘prestano’ i calciatori per pochi giorni. Il sistema è simile più a quello politico che a quello di un’impresa privata. La Federazione ha una funzione istituzionale, non imprenditoriale. Certo, i risultati sportivi sono oggettivi. Se non arrivano, è giusto che si valuti tutto. Da un punto di vista amministrativo, invece, bisogna dire che la FIGC ha fatto passi avanti: i numeri sono cresciuti. Ma se il sistema calcio non produce giocatori, c’è poco da fare. Bisogna ripartire dal basso, lavorare sul settore giovanile, e sperare che torni un’ondata di talenti come un tempo. Oggi, infatti, mancano i campioni. Ma forse bisognerebbe almeno iniziare a parlare di buoni giocatori. Se si guarda alle formazioni titolari, la Juventus gioca con un italiano, forse due. La Roma ne ha pochi. Il Napoli altrettanto. E nei ruoli chiave non ci sono quasi mai italiani. E poi si fa fatica anche a farli giocare con continuità. È un problema strutturale e culturale che non si risolve in un giorno. È un’operazione lunga, che prescinde da chi siederà in panchina".
 
Ha parlato di giovani: la provoco. Domani Kevin De Bruyne dovrebbe sostenere le visite mediche con il Napoli. Crede che, anche a 34 anni, possa fare la differenza? 
 
"Sì, già solo andando nello stadio, porta qualcosa. I giovani hanno bisogno di esempi, di modelli. Hanno bisogno di stare accanto a chi è più bravo di loro. Ci sono giocatori che, anche se non più freschi atleticamente, hanno un carisma tale da arricchire un gruppo. Sono esempi in campo e fuori. Ti fanno crescere con l’esperienza e con il comportamento. La partita dura 90 minuti, ma il tempo effettivo è meno della metà. Tutto il resto è fatto di atteggiamenti, di sguardi, di presenza. E De Bruyne, anche se dovesse giocare meno, con la sua sola presenza può dare tanto".
 
Sempre sul tema dei "grandi": la convince la scelta del Milan di tesserare Luka Modric? 
 
"Parliamo di uno dei più grandi giocatori del calcio europeo e mondiale degli ultimi 20 anni. È chiaro che è più avanti con l’età, che fisicamente non è più quello di prima, ma resta uno che può dare tantissimo.  Magari farà il 50% delle partite, ma sarà prezioso anche fuori dal campo. Sono scelte che si fanno a luglio, quando si costruiscono le squadre. E se hai uno così in rosa, anche se gioca meno, contribuisce in modo importante".
 
Veniamo a una panchina importante: la Roma. Le chiedo se la convince la scelta di affidarla a Gian Piero Gasperini. 
 
"Convincere è una parola grossa: direi che siamo tutti alla finestra a osservare. Roma è una piazza complicata, che chiede tanto e da troppi anni aspetta un ritorno stabile ai vertici. Gasperini è uno dei più grandi maestri di calcio italiani, ma dovrà ricominciare da capo, con il suo metodo. Speriamo gli venga dato il tempo necessario per costruire. Se riuscirà a farlo, sarà una grande occasione, per lui e per la Roma. Io mi auguro che vada bene, anche perché lui è un grande. Ma, come sempre, sarà il tempo a dirci se sarà un matrimonio felice".
 
La scelta della Lazio di tornare su Maurizio Sarri le sembra convincente? 
 
"Guarda, appena è saltato Baroni, il primo nome che è emerso è stato quello di Sarri. Questo dimostra che, nonostante qualche screzio passato, il rapporto tra lui e la società era rimasto forte. Conosce l’ambiente, sa pregi e difetti della squadra, e soprattutto è un grande maestro di calcio. La Lazio ha bisogno di ritrovare un’identità e Sarri può darle quella quadratura che è mancata. Con Baroni, l’andata non era partita male, poi si è un po’ persa. Con qualche innesto mirato e l’esperienza di Sarri, può tornare competitiva. Dispiace per Baroni che, forse, non ha avuto il tempo per dimostrare il proprio valore".
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IL COMMENTO - Lucchesi: "Napoli, la sola presenza di De Bruyne può dare tanto, i giovani hanno bisogno di esempi in campo e fuori"

di Napoli Magazine

11/06/2025 - 11:46

A "1 Football Club", programma radiofonico condotto da Luca Cerchione in onda su 1 Station Radio, è intervenuto Fabrizio Lucchesi, direttore sportivo ex, fra le tante, di Roma ed Empoli:
 
Direttore, con lei che è un espertissimo dirigente sportivo, partirei dal tema più scottante di questi ultimi giorni: la crisi della Nazionale italiana. Secondo lei, è una crisi che si risolverà semplicemente cambiando il commissario tecnico? 
 
"Sarebbe troppo bello, troppo facile. Purtroppo non credo proprio che basti. Francamente mi sembra difficile pensare che sia solo una questione di allenatore. Il problema arriva da molto lontano, è un problema di sistema. Parliamo della formazione degli atleti, della struttura dei campionati, dello stato di salute del nostro ordinamento calcistico. La vittoria all’Europeo ci ha dato l’illusione che tutto fosse a posto, ma in realtà non lo era. Anzi, le cose sono peggiorate. Spalletti, che sicuramente ha commesso qualche errore, oggi paga il prezzo della situazione. Ma il problema è ben più profondo. Anche perché se fosse solo un problema di allenatore, sarebbe tutto molto più semplice da risolvere. Oggi, però, il prodotto che offriamo è inferiore. Non siamo più quelli di 20 anni fa. Non siamo più il centro del mercato europeo, anzi oggi siamo la terza o quarta scelta. Una volta tutti volevano venire a giocare in Italia, oggi non è più così. Lo diceva anche Marotta qualche giorno fa: non siamo più competitivi. E poi c’è un problema culturale: facciamo fatica a far giocare i giovani. Da noi, dopo tre partite sbagliate, un ragazzo viene messo in discussione. In altri Paesi, come l’Inghilterra, i giovani vengono protetti e valorizzati anche per anni. Questo è un problema strutturale che non si risolve solo con un cambio in panchina. Il problema principale resta la produzione di talenti. Su 500 giocatori in Serie A, il 55% sono stranieri. Dei pochi italiani rimasti, solo il 50% gioca davvero. Questo è il punto. Con Spalletti ne parlavamo poco tempo fa: lui cercava di fare la Nazionale ma si lamentava di avere un bacino di soli 175 giocatori realmente selezionabili. È troppo poco, pensando che altrove ne hanno oltre mille. Eppure, a ogni fallimento sportivo, ci si limita a cambiare l’allenatore".
 
Direttore, le chiedo: quando lei era dirigente in un club, se per anni non avesse portato risultati, non sarebbe stato messo in discussione? Perché non accade lo stesso con i vertici della FIGC? 
 
"In effetti è un’anomalia tutta italiana. Da qualche anno si è tentato di dare alla Federazione un modello simile a quello dei club, più funzionale, più organizzato, il cosiddetto ‘Club Italia’. Ma in realtà il funzionamento è completamente diverso. Nel club hai i giocatori di proprietà, li gestisci quotidianamente. Nella Nazionale, invece, i club ti ‘prestano’ i calciatori per pochi giorni. Il sistema è simile più a quello politico che a quello di un’impresa privata. La Federazione ha una funzione istituzionale, non imprenditoriale. Certo, i risultati sportivi sono oggettivi. Se non arrivano, è giusto che si valuti tutto. Da un punto di vista amministrativo, invece, bisogna dire che la FIGC ha fatto passi avanti: i numeri sono cresciuti. Ma se il sistema calcio non produce giocatori, c’è poco da fare. Bisogna ripartire dal basso, lavorare sul settore giovanile, e sperare che torni un’ondata di talenti come un tempo. Oggi, infatti, mancano i campioni. Ma forse bisognerebbe almeno iniziare a parlare di buoni giocatori. Se si guarda alle formazioni titolari, la Juventus gioca con un italiano, forse due. La Roma ne ha pochi. Il Napoli altrettanto. E nei ruoli chiave non ci sono quasi mai italiani. E poi si fa fatica anche a farli giocare con continuità. È un problema strutturale e culturale che non si risolve in un giorno. È un’operazione lunga, che prescinde da chi siederà in panchina".
 
Ha parlato di giovani: la provoco. Domani Kevin De Bruyne dovrebbe sostenere le visite mediche con il Napoli. Crede che, anche a 34 anni, possa fare la differenza? 
 
"Sì, già solo andando nello stadio, porta qualcosa. I giovani hanno bisogno di esempi, di modelli. Hanno bisogno di stare accanto a chi è più bravo di loro. Ci sono giocatori che, anche se non più freschi atleticamente, hanno un carisma tale da arricchire un gruppo. Sono esempi in campo e fuori. Ti fanno crescere con l’esperienza e con il comportamento. La partita dura 90 minuti, ma il tempo effettivo è meno della metà. Tutto il resto è fatto di atteggiamenti, di sguardi, di presenza. E De Bruyne, anche se dovesse giocare meno, con la sua sola presenza può dare tanto".
 
Sempre sul tema dei "grandi": la convince la scelta del Milan di tesserare Luka Modric? 
 
"Parliamo di uno dei più grandi giocatori del calcio europeo e mondiale degli ultimi 20 anni. È chiaro che è più avanti con l’età, che fisicamente non è più quello di prima, ma resta uno che può dare tantissimo.  Magari farà il 50% delle partite, ma sarà prezioso anche fuori dal campo. Sono scelte che si fanno a luglio, quando si costruiscono le squadre. E se hai uno così in rosa, anche se gioca meno, contribuisce in modo importante".
 
Veniamo a una panchina importante: la Roma. Le chiedo se la convince la scelta di affidarla a Gian Piero Gasperini. 
 
"Convincere è una parola grossa: direi che siamo tutti alla finestra a osservare. Roma è una piazza complicata, che chiede tanto e da troppi anni aspetta un ritorno stabile ai vertici. Gasperini è uno dei più grandi maestri di calcio italiani, ma dovrà ricominciare da capo, con il suo metodo. Speriamo gli venga dato il tempo necessario per costruire. Se riuscirà a farlo, sarà una grande occasione, per lui e per la Roma. Io mi auguro che vada bene, anche perché lui è un grande. Ma, come sempre, sarà il tempo a dirci se sarà un matrimonio felice".
 
La scelta della Lazio di tornare su Maurizio Sarri le sembra convincente? 
 
"Guarda, appena è saltato Baroni, il primo nome che è emerso è stato quello di Sarri. Questo dimostra che, nonostante qualche screzio passato, il rapporto tra lui e la società era rimasto forte. Conosce l’ambiente, sa pregi e difetti della squadra, e soprattutto è un grande maestro di calcio. La Lazio ha bisogno di ritrovare un’identità e Sarri può darle quella quadratura che è mancata. Con Baroni, l’andata non era partita male, poi si è un po’ persa. Con qualche innesto mirato e l’esperienza di Sarri, può tornare competitiva. Dispiace per Baroni che, forse, non ha avuto il tempo per dimostrare il proprio valore".