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L'EDITORIALE - Antonio Petrazzuolo: "Napoli da mal di pancia totale, Rudi ora riparti dalle certezze..."
03.09.2023 23:00 di Napoli Magazine

NAPOLI - A nessuno piace perdere, specialmente se sei campione d'Italia e ti trovi appena alla terza giornata di campionato. Se poi il capitombolo arriva in casa contro la Lazio dell'ex Sarri (fino a pochi istanti prima a zero punti), ecco che la bile tocca orizzonti inesplorati. Alzi la mano, o il dito dallo smartphone se preferite, chi non ha ancora l'amaro in bocca. Si puo' perdere una partita, per carita'. Accadde anche l'anno scorso contro i biancocelesti, quando Vecino indovino' un tiro improbabile dai 35 metri, ma in quell'occasione fu una sconfitta diversa. Come ammesso dallo stesso Sarri, in sala stampa, quel Napoli concesse meno spazi ai biancocelesti. Stavolta invece e' accaduto qualcosa di anomalo. In tanti, Garcia incluso, hanno archiviato il primo tempo degli azzurri come positivo, io pero' non sono d'accordo: va bene il possesso palla, la superiorita' numerica, ma bisogna far gol, per non concedere agli avversari l'opportunita' di ragionare. Ecco, invece, la speranza e' stata concessa sotto troppi punti di vista. Se da un lato era stato bravo Zielinski a riequilibrare subito le sorti del match, dopo lo schiaffetto di Luis Alberto, nella ripresa non si e' vista alcuna reazione. Anche in seguito al gol di Kamada la squadra non ha fatto scattare la molla giusta per reagire. E non sono bastate nemmeno le sostituzioni, oltre che le due reti annullate dal VAR alla Lazio per fuorigioco, per suonare la carica. A cosa e' dovuto tutto questo? Premesso che su entrambi i gol della Lazio, mi sarei aspettato maggiore reattivita' da Meret, sia perche' il tacco di Luis Alberto gli e' passato sotto le gambe, sia perche' il diagonale di Kamada era angolato ma comunque partito da una media distanza individuabile, cio' che mi ha stupito, piu' di tutto, e' stata la linea difensiva troppo alta, scelta che ha letteralmente regalato campo aperto a Zaccagni, Immobile, Luis Alberto e Felipe Anderson. Allo sbando Rrahmani e Juan Jesus, come Olivera (troppo distante dai compagni di reparto oltre che da Kvara, con cui non ha mai dialogato al fine di attuare le sovrapposizioni necessarie per esaltare le caratteristiche del georgiano), salvo (come al solito) il capitano Di Lorenzo (prezioso nei recuperi). Mi domando invece perche' si e' deciso di modificare la posizione di Lobotka, spostandolo in avanti e creando un distacco abissale con Anguissa (che ha iniziato bene la partita, finendola però in evidente difficoltà). Perche' non utilizzare, nel momento di crisi, il jolly Elmas? Considerato Osimhen isolato in avanti (nessun pallone buono per lui), senza Zielinski e Kvara (sostituiti perche', per ammissione del tecnico, non sono ancora al 100%), a cosa ha portato l'inserimento contemporaneo di Raspadori, Simeone e Lindstrom? Ad una generale confusione. Non penso che la squadra abbia dimenticato come si giochi a calcio, semplicemente occorre rifugiarsi in cio' che si sa fare a memoria (e questo dovrebbe essere l'input da dare soprattutto se si perdono punti di riferimento, come poteva esserlo Kim, in attesa dell'ambientamento a tempo indeterminato di Natan). Ovvero le cose semplici, cito le prime tre che mi vengono in mente: Lobotka play basso, Mario Rui a sinistra, Elmas al posto di Kvara (se Kvara a tutti i costi bisogna sostituirlo...), senza voler cambiare troppo quanto fino a pochi mesi ha condotto il Napoli a +16 sulla Lazio. Tutto il resto, dal clima torrido alla forma mentis, rapprentano degli alibi che, a mio avviso, non e' possibile concedere a chi ha lo scudetto cucito sul petto, per un semplice motivo: la squadra c'e' ed e' forte. Ne ho parlato anche con Felipe Anderson, in un rapido scambio di battute fortuite, mentre lasciavo lo Stadio Maradona dopo le due conferenze: il Napoli e' forte, ma (per come la vedo io) non bisogna stravolgerlo.

 

 

Antonio Petrazzuolo
 
 
Napoli Magazine
 
 
Riproduzione del testo consentita previa citazione della fonte: www.napolimagazine.com
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NAPOLI - A nessuno piace perdere, specialmente se sei campione d'Italia e ti trovi appena alla terza giornata di campionato. Se poi il capitombolo arriva in casa contro la Lazio dell'ex Sarri (fino a pochi istanti prima a zero punti), ecco che la bile tocca orizzonti inesplorati. Alzi la mano, o il dito dallo smartphone se preferite, chi non ha ancora l'amaro in bocca. Si puo' perdere una partita, per carita'. Accadde anche l'anno scorso contro i biancocelesti, quando Vecino indovino' un tiro improbabile dai 35 metri, ma in quell'occasione fu una sconfitta diversa. Come ammesso dallo stesso Sarri, in sala stampa, quel Napoli concesse meno spazi ai biancocelesti. Stavolta invece e' accaduto qualcosa di anomalo. In tanti, Garcia incluso, hanno archiviato il primo tempo degli azzurri come positivo, io pero' non sono d'accordo: va bene il possesso palla, la superiorita' numerica, ma bisogna far gol, per non concedere agli avversari l'opportunita' di ragionare. Ecco, invece, la speranza e' stata concessa sotto troppi punti di vista. Se da un lato era stato bravo Zielinski a riequilibrare subito le sorti del match, dopo lo schiaffetto di Luis Alberto, nella ripresa non si e' vista alcuna reazione. Anche in seguito al gol di Kamada la squadra non ha fatto scattare la molla giusta per reagire. E non sono bastate nemmeno le sostituzioni, oltre che le due reti annullate dal VAR alla Lazio per fuorigioco, per suonare la carica. A cosa e' dovuto tutto questo? Premesso che su entrambi i gol della Lazio, mi sarei aspettato maggiore reattivita' da Meret, sia perche' il tacco di Luis Alberto gli e' passato sotto le gambe, sia perche' il diagonale di Kamada era angolato ma comunque partito da una media distanza individuabile, cio' che mi ha stupito, piu' di tutto, e' stata la linea difensiva troppo alta, scelta che ha letteralmente regalato campo aperto a Zaccagni, Immobile, Luis Alberto e Felipe Anderson. Allo sbando Rrahmani e Juan Jesus, come Olivera (troppo distante dai compagni di reparto oltre che da Kvara, con cui non ha mai dialogato al fine di attuare le sovrapposizioni necessarie per esaltare le caratteristiche del georgiano), salvo (come al solito) il capitano Di Lorenzo (prezioso nei recuperi). Mi domando invece perche' si e' deciso di modificare la posizione di Lobotka, spostandolo in avanti e creando un distacco abissale con Anguissa (che ha iniziato bene la partita, finendola però in evidente difficoltà). Perche' non utilizzare, nel momento di crisi, il jolly Elmas? Considerato Osimhen isolato in avanti (nessun pallone buono per lui), senza Zielinski e Kvara (sostituiti perche', per ammissione del tecnico, non sono ancora al 100%), a cosa ha portato l'inserimento contemporaneo di Raspadori, Simeone e Lindstrom? Ad una generale confusione. Non penso che la squadra abbia dimenticato come si giochi a calcio, semplicemente occorre rifugiarsi in cio' che si sa fare a memoria (e questo dovrebbe essere l'input da dare soprattutto se si perdono punti di riferimento, come poteva esserlo Kim, in attesa dell'ambientamento a tempo indeterminato di Natan). Ovvero le cose semplici, cito le prime tre che mi vengono in mente: Lobotka play basso, Mario Rui a sinistra, Elmas al posto di Kvara (se Kvara a tutti i costi bisogna sostituirlo...), senza voler cambiare troppo quanto fino a pochi mesi ha condotto il Napoli a +16 sulla Lazio. Tutto il resto, dal clima torrido alla forma mentis, rapprentano degli alibi che, a mio avviso, non e' possibile concedere a chi ha lo scudetto cucito sul petto, per un semplice motivo: la squadra c'e' ed e' forte. Ne ho parlato anche con Felipe Anderson, in un rapido scambio di battute fortuite, mentre lasciavo lo Stadio Maradona dopo le due conferenze: il Napoli e' forte, ma (per come la vedo io) non bisogna stravolgerlo.

 

 

Antonio Petrazzuolo
 
 
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