Sono passati 50 anni da "The Rumble In The Jungle", il match più famoso della storia del pugilato: il campione dei pesi massimi George Foreman contro Muhammad Ali, 30 ottobre 1974, a Kinshasa. Sessantamila presenti a bordo ring e - si calcola - un miliardo davanti alla tv in tutto il mondo, la folla che urla 'Ali Bomaye', 'Ali uccidilo', e poi la tattica dello sfidante che mette in difficolta' il detentore dei massimi, Foreman. Epopea dello sport. Foreman, che oggi ha 75 anni, lo ricorda intervistato dal Telegraph. Prese la sconfitta così bene che il suo match successivo fu contro cinque uomini in una notte, a Toronto, per "dimostrare la sua forza" dopo la "devastante" prima sconfitta in carriera contro Ali. Ne mandò Ko tre. "Sono solo felice di poterlo ricordare. Punto. Non ho altro che bei ricordi, ma all'epoca ero devastato dalla sconfitta. Avevo 25 anni - racconta Foreman al Telegraph - Sono andato a quel combattimento imbattuto in 40 incontri e credevo che nessuno fosse in grado di battermi. Mi sentivo invincibile. Pensavo di mettere ko Muhammad Ali in due round. Perdere quel combattimento mi ha davvero devastato. Non riuscivo a capire perché le mie tattiche non funzionassero e non lo avessi messo ko. Pensavo che Ali avrebbe fatto due round e non di più. Quando ho alzato lo sguardo ed eravamo al quarto round...mi sono chiesto cosa stesse succedendo…". "Non ho mai avuto la sensazione di essere famoso o una celebrità - ricorda ancora Foreman - Era Muhammad Ali che amava essere una celebrità". Foreman ripensa a quei due mesi in Africa con sentimenti profondi, un capitolo della sua vita che non dimenticherà mai. "Era così diverso. Le persone che rappresentavano il governo erano venute a casa mia e mi avevano promesso che mi avrebbero pagato bene. Quindi ho detto 'perché no?' In verità, ero emozionato di andare in Africa. Quella visita, l'evento, persino la lotta, non sono mai scomparsi dal mio cuore. Seduto lì in hotel, guarire; andare in campagna, correre e allenarsi ogni giorno, guardare le persone che si lavavano nel fiume Congo. Ha un significato speciale nel mio cuore, e vive ancora cinquant'anni dopo. L'Africa. Il fiume Congo. È ancora vivo in me". "Quando andai in Africa, pensavo che nessuno potesse battermi, perché non potevano incassare i miei pugni. Andavo lì, lasciavo l'accappatoio all'angolo, senza istruzioni, senza tattiche....mi lasciavo andare e basta...". Foreman si ritirò poi a 27 anni, vivendo 10 anni lontano dalla boxe; poi a 37 anni tornò sul ring e rivinse il titolo all'età di 45 anni. "Ho avuto un decennio di pausa in cui potevo mangiare quello che volevo, andare dove volevo, andare a cavallo, e quando sono tornato alla boxe, tutto era ancora lì. Potevo ancora farlo", ha spiegato Foreman. "È stato facile, perché la boxe per me era salire sul ring e combattere, mi veniva naturale. Avevo forza e potenza, e non ho mai dubitato di me stesso". Con Muhammad Ali "siamo diventati grandi amici. Aveva un grande senso dell'umorismo, amava essere la star dello spettacolo, non importa dove andasse… era una celebrità. Amava essere una celebrità. Amavo stare con lui, mi faceva davvero sentire bene". Anche in quella 'Rissa nella Giungla' che rimane nella storia dello sport mondiale.
di Napoli Magazine
30/10/2024 - 18:33
Sono passati 50 anni da "The Rumble In The Jungle", il match più famoso della storia del pugilato: il campione dei pesi massimi George Foreman contro Muhammad Ali, 30 ottobre 1974, a Kinshasa. Sessantamila presenti a bordo ring e - si calcola - un miliardo davanti alla tv in tutto il mondo, la folla che urla 'Ali Bomaye', 'Ali uccidilo', e poi la tattica dello sfidante che mette in difficolta' il detentore dei massimi, Foreman. Epopea dello sport. Foreman, che oggi ha 75 anni, lo ricorda intervistato dal Telegraph. Prese la sconfitta così bene che il suo match successivo fu contro cinque uomini in una notte, a Toronto, per "dimostrare la sua forza" dopo la "devastante" prima sconfitta in carriera contro Ali. Ne mandò Ko tre. "Sono solo felice di poterlo ricordare. Punto. Non ho altro che bei ricordi, ma all'epoca ero devastato dalla sconfitta. Avevo 25 anni - racconta Foreman al Telegraph - Sono andato a quel combattimento imbattuto in 40 incontri e credevo che nessuno fosse in grado di battermi. Mi sentivo invincibile. Pensavo di mettere ko Muhammad Ali in due round. Perdere quel combattimento mi ha davvero devastato. Non riuscivo a capire perché le mie tattiche non funzionassero e non lo avessi messo ko. Pensavo che Ali avrebbe fatto due round e non di più. Quando ho alzato lo sguardo ed eravamo al quarto round...mi sono chiesto cosa stesse succedendo…". "Non ho mai avuto la sensazione di essere famoso o una celebrità - ricorda ancora Foreman - Era Muhammad Ali che amava essere una celebrità". Foreman ripensa a quei due mesi in Africa con sentimenti profondi, un capitolo della sua vita che non dimenticherà mai. "Era così diverso. Le persone che rappresentavano il governo erano venute a casa mia e mi avevano promesso che mi avrebbero pagato bene. Quindi ho detto 'perché no?' In verità, ero emozionato di andare in Africa. Quella visita, l'evento, persino la lotta, non sono mai scomparsi dal mio cuore. Seduto lì in hotel, guarire; andare in campagna, correre e allenarsi ogni giorno, guardare le persone che si lavavano nel fiume Congo. Ha un significato speciale nel mio cuore, e vive ancora cinquant'anni dopo. L'Africa. Il fiume Congo. È ancora vivo in me". "Quando andai in Africa, pensavo che nessuno potesse battermi, perché non potevano incassare i miei pugni. Andavo lì, lasciavo l'accappatoio all'angolo, senza istruzioni, senza tattiche....mi lasciavo andare e basta...". Foreman si ritirò poi a 27 anni, vivendo 10 anni lontano dalla boxe; poi a 37 anni tornò sul ring e rivinse il titolo all'età di 45 anni. "Ho avuto un decennio di pausa in cui potevo mangiare quello che volevo, andare dove volevo, andare a cavallo, e quando sono tornato alla boxe, tutto era ancora lì. Potevo ancora farlo", ha spiegato Foreman. "È stato facile, perché la boxe per me era salire sul ring e combattere, mi veniva naturale. Avevo forza e potenza, e non ho mai dubitato di me stesso". Con Muhammad Ali "siamo diventati grandi amici. Aveva un grande senso dell'umorismo, amava essere la star dello spettacolo, non importa dove andasse… era una celebrità. Amava essere una celebrità. Amavo stare con lui, mi faceva davvero sentire bene". Anche in quella 'Rissa nella Giungla' che rimane nella storia dello sport mondiale.