A "1 Football Club"su 1 Station Radio, è intervenuto Benoit Cauet, allenatore ed ex calciatore di Inter e Como. Di seguito, un estratto dell'intervista.
L’Inter e il PSG, sue ex squadre, stanno facendo un bel percorso in Champions League. Secondo lei, tra le due c’è una squadra che può realmente ambire alla finale?
"Per quello che si è visto nelle ultime partite, entrambe stanno molto bene. Hanno disputato delle prestazioni straordinarie, dimostrando di essere più che all’altezza. Si vede chiaramente che sono squadre con concetti di gioco ben definiti, con giocatori di altissimo livello. Le loro performance sono impressionanti, e giustamente si trovano lì, davanti a tutti."
Restando in ambito europeo, stasera si giocano i quarti di andata di Europa League e Conference League: scenderanno in campo Lazio e Fiorentina. Secondo lei è possibile un miracolo per ribaltare il gap con la Spagna in termini di ranking UEFA?
"Questa è una domanda vera, concreta. Non è da oggi che ci si interroga su questo. Io credo di sì, credo che sia possibile, perché il calcio italiano è migliorato molto negli ultimi 4-5 anni. Ha portato squadre alle finali europee, dimostrando di essere competitivo. Inoltre, stiamo assistendo a una piccola rivoluzione: il cambiamento delle strutture, degli stadi. È un aspetto che pochi sottolineano, ma che inizia a farsi sentire. Penso a Firenze, a Milano, a Bergamo: ci sono impianti nuovi, moderni, che portano anche un ritorno economico. Tutte queste componenti, che prima rappresentavano un grosso problema, ora stanno contribuendo alla crescita del calcio italiano. I risultati si vedono anche sul campo."
Tornando al campionato, si avvicina il tempo delle grandi scelte per gli allenatori. Molti sono in bilico, ma Antonio Conte sembra essere l’ago della bilancia. È d’accordo?
"Credo di sì. Parliamo di un allenatore che ovunque è andato ha fatto benissimo. Antonio Conte è un lavoratore, uno che pretende molto dai suoi giocatori. Le sue squadre hanno sempre mostrato una determinazione incredibile. È un allenatore che sa portare le sue squadre a competere per vincere trofei, e spesso ci riesce."
Secondo lei, perché Conte mantiene tutto questo riserbo sul proprio futuro? Per tranquillizzare l’ambiente? Non sarebbe meglio fare dichiarazioni più chiare e concrete?
"Guarda, noi non siamo lui. Possiamo solo immaginare. Sicuramente qualche dichiarazione aiuterebbe a portare un po' di serenità nell’ambiente, ma a volte queste uscite pubbliche possono essere interpretate in modo positivo o negativo. Lo abbiamo visto anche a Bergamo: quando Gasperini ha annunciato che non avrebbe rinnovato, poi ci sono state delle sconfitte... Coincidenze? Forse. Però sappiamo quanto pesino le parole nel nostro calcio. Conte, secondo me, vuole tenere tutti sulla corda: vuole che tutti siano pronti a dare il massimo fino alla fine. Non vuole sbilanciarsi, ma vuole mantenere alta la tensione. Perché quello che conta è vincere."
Da calciatore, lei avrebbe gradito questa incertezza da parte dell’allenatore, soprattutto a sette giornate dal termine, mentre si è in corsa per lo scudetto?
"In verità io pensavo solo al campo, a dare il massimo per il mio ruolo. Per me, la cosa più importante era portare a casa i tre punti. L’allenatore ha le sue strategie, le sue idee, e noi dobbiamo rispettarle. Alla fine, quello che conta per un calciatore è la maglia, il club. L’allenatore deve pensare anche al futuro, ma noi dobbiamo solo pensare a giocare."
Parliamo con un allenatore - lei - che, da calciatore, era già un allenatore in campo: sempre con la testa sulle spalle. Ma non tutti i calciatori reagiscono allo stesso modo, non trova?
"Assolutamente sì. Lì entra in gioco la libertà d’espressione: ci sono giocatori a cui dà fastidio non sapere cosa accadrà, magari perché hanno altre situazioni da valutare. È normale. Ognuno è diverso."
Vedendo le prestazioni di Kvaratskhelia a Parigi, verrebbe da pensare che il Napoli, se non lo avesse ceduto, avrebbe potuto avere qualche punto in più. È d’accordo?
"Eh, sicuramente sì. Su questo punto di vista, sono completamente d’accordo. Se non fosse andato via, il Napoli sarebbe ancora primo, come lo era prima della sua partenza.”
A proposito di Kvaratskhelia: il talento non è mai stato messo in discussione, né a Napoli né al PSG. Ma nell’ultimo periodo della scorsa stagione e in questa, a Napoli non riusciva più a rendere ai suoi livelli. Secondo lei, era un problema legato alla squadra che non lo esaltava più, oppure c’era una demotivazione dovuta anche al mancato rinnovo economico?
"Io credo che lui fosse arrivato alla fine di un ciclo. Aveva dato tutto quello che poteva dare al Napoli. È semplice: a un certo punto si sente che è finita, e si sente il bisogno di andare da un’altra parte. Poi magari i soldi c’entrano, ma secondo me il vero punto era che il suo ciclo lì era finito."
di Napoli Magazine
10/04/2025 - 11:25
A "1 Football Club"su 1 Station Radio, è intervenuto Benoit Cauet, allenatore ed ex calciatore di Inter e Como. Di seguito, un estratto dell'intervista.
L’Inter e il PSG, sue ex squadre, stanno facendo un bel percorso in Champions League. Secondo lei, tra le due c’è una squadra che può realmente ambire alla finale?
"Per quello che si è visto nelle ultime partite, entrambe stanno molto bene. Hanno disputato delle prestazioni straordinarie, dimostrando di essere più che all’altezza. Si vede chiaramente che sono squadre con concetti di gioco ben definiti, con giocatori di altissimo livello. Le loro performance sono impressionanti, e giustamente si trovano lì, davanti a tutti."
Restando in ambito europeo, stasera si giocano i quarti di andata di Europa League e Conference League: scenderanno in campo Lazio e Fiorentina. Secondo lei è possibile un miracolo per ribaltare il gap con la Spagna in termini di ranking UEFA?
"Questa è una domanda vera, concreta. Non è da oggi che ci si interroga su questo. Io credo di sì, credo che sia possibile, perché il calcio italiano è migliorato molto negli ultimi 4-5 anni. Ha portato squadre alle finali europee, dimostrando di essere competitivo. Inoltre, stiamo assistendo a una piccola rivoluzione: il cambiamento delle strutture, degli stadi. È un aspetto che pochi sottolineano, ma che inizia a farsi sentire. Penso a Firenze, a Milano, a Bergamo: ci sono impianti nuovi, moderni, che portano anche un ritorno economico. Tutte queste componenti, che prima rappresentavano un grosso problema, ora stanno contribuendo alla crescita del calcio italiano. I risultati si vedono anche sul campo."
Tornando al campionato, si avvicina il tempo delle grandi scelte per gli allenatori. Molti sono in bilico, ma Antonio Conte sembra essere l’ago della bilancia. È d’accordo?
"Credo di sì. Parliamo di un allenatore che ovunque è andato ha fatto benissimo. Antonio Conte è un lavoratore, uno che pretende molto dai suoi giocatori. Le sue squadre hanno sempre mostrato una determinazione incredibile. È un allenatore che sa portare le sue squadre a competere per vincere trofei, e spesso ci riesce."
Secondo lei, perché Conte mantiene tutto questo riserbo sul proprio futuro? Per tranquillizzare l’ambiente? Non sarebbe meglio fare dichiarazioni più chiare e concrete?
"Guarda, noi non siamo lui. Possiamo solo immaginare. Sicuramente qualche dichiarazione aiuterebbe a portare un po' di serenità nell’ambiente, ma a volte queste uscite pubbliche possono essere interpretate in modo positivo o negativo. Lo abbiamo visto anche a Bergamo: quando Gasperini ha annunciato che non avrebbe rinnovato, poi ci sono state delle sconfitte... Coincidenze? Forse. Però sappiamo quanto pesino le parole nel nostro calcio. Conte, secondo me, vuole tenere tutti sulla corda: vuole che tutti siano pronti a dare il massimo fino alla fine. Non vuole sbilanciarsi, ma vuole mantenere alta la tensione. Perché quello che conta è vincere."
Da calciatore, lei avrebbe gradito questa incertezza da parte dell’allenatore, soprattutto a sette giornate dal termine, mentre si è in corsa per lo scudetto?
"In verità io pensavo solo al campo, a dare il massimo per il mio ruolo. Per me, la cosa più importante era portare a casa i tre punti. L’allenatore ha le sue strategie, le sue idee, e noi dobbiamo rispettarle. Alla fine, quello che conta per un calciatore è la maglia, il club. L’allenatore deve pensare anche al futuro, ma noi dobbiamo solo pensare a giocare."
Parliamo con un allenatore - lei - che, da calciatore, era già un allenatore in campo: sempre con la testa sulle spalle. Ma non tutti i calciatori reagiscono allo stesso modo, non trova?
"Assolutamente sì. Lì entra in gioco la libertà d’espressione: ci sono giocatori a cui dà fastidio non sapere cosa accadrà, magari perché hanno altre situazioni da valutare. È normale. Ognuno è diverso."
Vedendo le prestazioni di Kvaratskhelia a Parigi, verrebbe da pensare che il Napoli, se non lo avesse ceduto, avrebbe potuto avere qualche punto in più. È d’accordo?
"Eh, sicuramente sì. Su questo punto di vista, sono completamente d’accordo. Se non fosse andato via, il Napoli sarebbe ancora primo, come lo era prima della sua partenza.”
A proposito di Kvaratskhelia: il talento non è mai stato messo in discussione, né a Napoli né al PSG. Ma nell’ultimo periodo della scorsa stagione e in questa, a Napoli non riusciva più a rendere ai suoi livelli. Secondo lei, era un problema legato alla squadra che non lo esaltava più, oppure c’era una demotivazione dovuta anche al mancato rinnovo economico?
"Io credo che lui fosse arrivato alla fine di un ciclo. Aveva dato tutto quello che poteva dare al Napoli. È semplice: a un certo punto si sente che è finita, e si sente il bisogno di andare da un’altra parte. Poi magari i soldi c’entrano, ma secondo me il vero punto era che il suo ciclo lì era finito."