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L'EX - Fontana: "Il Napoli è stato il premio della mia vita, è davvero una piazza unica"
02.07.2024 00:30 di Napoli Magazine

Gaetano Fontana, ex centrocampista del Napoli, ha parlato Calcio Time, in onda sui canali social di EuropaCalcio.it: “La vittoria dell’Europeo nel 2021 ha sicuramente nascosto diversi problemi. Consideriamo anche il fatto che ora anche le Nazionali più “piccole” sono cresciute e hanno acquisito competitività. Ritengo Spalletti un grandissimo allenatore, che ha cercato di portare novità tattiche ma poi ha dovuto mettere il freno a mano: aveva idee non compatibili col materiale umano che aveva a disposizione. Ci sono tante cose su cui dover riflettere. Ad esempio, quando giocavo io una squadra poteva annoverare un massimo di tre stranieri. E più in generale, i club nostrani fanno fatica a far emergere i giovani. Ma del resto pretendiamo che i ragazzi siano subito pronti come i veterani, e così al primo errore o alla prima partita sbagliata finiscono nel dimenticatoio e vengono quindi bruciati. Posso capire la pretesa di avere giovani pronti, ma allora prima devi formare l’atleta al meglio possibile, sia fisicamente che tatticamente. Il Napoli è stato il premio della mia vita. Vincere era l’imperativo dal momento che eravamo giocatori di Serie C in una piazza da Champions League. Purtroppo il primo anno non riuscimmo a salire ma ci riscattammo dodici mesi dopo. Ventura? Avevamo già avuto un approccio quando io ero all’Alessandria e lui allenava il Lecce per un mio possibile trasferimento in Salento, ma poi non se ne fece più nulla. A Napoli purtroppo non era andata bene anche perché si era ritrovato a gestire un gruppo creato in pochissimi giorni e con giocatori che avevano svolto tutti una preparazione diversa. Ora che alleno anche io posso confermare che è una situazione che non è mai facile. Anche Reja ebbe una prima fase di apprendimento. Ho sempre ribadito una cosa: un calciatore del Napoli si misura dal momento in cui sale i tre gradini che conducono all’accesso posto dietro alla Curva B, laddove si entrava una volta per raggiungere il campo. Ho maturato questa consapevolezza allorchè ebbi la fortuna di giocare contro il Napoli, con il Padova. Ricordo benissimo quell’impatto perchè notavi la copertura dei Distinti che tremava per l’attesa della gente e l’ansia cominciava a farsi sentire. Ecco perché affermo che annullando la carica emotiva c’era speranza di far parte della partita; diversamente, era come non scendere in campo. A quel punto, ti guardavi intorno e basta: in generale, era una sensazione stupenda. Dal punto di vista ambentale, dunque, Napoli non devo certamente presentarla io, perchè lo notano tutti: è una piazza unica. Per quanto riguarda i compagni del passato, ho mantenuto contatti e ottimi rapporti con tantissimi di loro, tra i quali il Pampa Sosa, lo stesso Capparella, Inacio Pia, Savini, Montervino, Scarlato e altri. Eravamo uno spogliatoio formato da ragazzi semplici, non calciatori fatti e finiti: eravamo presi dalla strada, come si suol dire. Anche questa è stata una fortuna e ci tengo a precisarlo perchè tendo ancora a esaltare il lato romantico del calcio. Erano rapporti che andavano al di là del mero aspetto calcistico. La qualità del gruppo era sicuramente superiore al resto della categoria, ma se non accompagnata da unità d’intenti, non saremmo riusciti a raggiungere il risultato”.

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L'EX - Fontana: "Il Napoli è stato il premio della mia vita, è davvero una piazza unica"

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02/07/2024 - 00:30

Gaetano Fontana, ex centrocampista del Napoli, ha parlato Calcio Time, in onda sui canali social di EuropaCalcio.it: “La vittoria dell’Europeo nel 2021 ha sicuramente nascosto diversi problemi. Consideriamo anche il fatto che ora anche le Nazionali più “piccole” sono cresciute e hanno acquisito competitività. Ritengo Spalletti un grandissimo allenatore, che ha cercato di portare novità tattiche ma poi ha dovuto mettere il freno a mano: aveva idee non compatibili col materiale umano che aveva a disposizione. Ci sono tante cose su cui dover riflettere. Ad esempio, quando giocavo io una squadra poteva annoverare un massimo di tre stranieri. E più in generale, i club nostrani fanno fatica a far emergere i giovani. Ma del resto pretendiamo che i ragazzi siano subito pronti come i veterani, e così al primo errore o alla prima partita sbagliata finiscono nel dimenticatoio e vengono quindi bruciati. Posso capire la pretesa di avere giovani pronti, ma allora prima devi formare l’atleta al meglio possibile, sia fisicamente che tatticamente. Il Napoli è stato il premio della mia vita. Vincere era l’imperativo dal momento che eravamo giocatori di Serie C in una piazza da Champions League. Purtroppo il primo anno non riuscimmo a salire ma ci riscattammo dodici mesi dopo. Ventura? Avevamo già avuto un approccio quando io ero all’Alessandria e lui allenava il Lecce per un mio possibile trasferimento in Salento, ma poi non se ne fece più nulla. A Napoli purtroppo non era andata bene anche perché si era ritrovato a gestire un gruppo creato in pochissimi giorni e con giocatori che avevano svolto tutti una preparazione diversa. Ora che alleno anche io posso confermare che è una situazione che non è mai facile. Anche Reja ebbe una prima fase di apprendimento. Ho sempre ribadito una cosa: un calciatore del Napoli si misura dal momento in cui sale i tre gradini che conducono all’accesso posto dietro alla Curva B, laddove si entrava una volta per raggiungere il campo. Ho maturato questa consapevolezza allorchè ebbi la fortuna di giocare contro il Napoli, con il Padova. Ricordo benissimo quell’impatto perchè notavi la copertura dei Distinti che tremava per l’attesa della gente e l’ansia cominciava a farsi sentire. Ecco perché affermo che annullando la carica emotiva c’era speranza di far parte della partita; diversamente, era come non scendere in campo. A quel punto, ti guardavi intorno e basta: in generale, era una sensazione stupenda. Dal punto di vista ambentale, dunque, Napoli non devo certamente presentarla io, perchè lo notano tutti: è una piazza unica. Per quanto riguarda i compagni del passato, ho mantenuto contatti e ottimi rapporti con tantissimi di loro, tra i quali il Pampa Sosa, lo stesso Capparella, Inacio Pia, Savini, Montervino, Scarlato e altri. Eravamo uno spogliatoio formato da ragazzi semplici, non calciatori fatti e finiti: eravamo presi dalla strada, come si suol dire. Anche questa è stata una fortuna e ci tengo a precisarlo perchè tendo ancora a esaltare il lato romantico del calcio. Erano rapporti che andavano al di là del mero aspetto calcistico. La qualità del gruppo era sicuramente superiore al resto della categoria, ma se non accompagnata da unità d’intenti, non saremmo riusciti a raggiungere il risultato”.