Faouzi Ghoulam, ex terzino del Napoli, a Sky Sport ha raccontato la sua esperienza da calciatore durante il Ramadan: "Per tutti i musulmani è un mese di gioia e purificazione. Si è parlato spesso della compatibilità tra la pratica del Ramadan e lo sport professionistico e, in base alla mia esperienza, posso dire che durante questo periodo per noi così speciale le performance degli atleti musulmani non solo non calano ma possono addirittura… migliorare. Ne sono convinto e ora vi spiegherò il perché. Prima di farlo però volevo contestualizzare la questione. Rispetto a quando ho iniziato la mia carriera di calciatore, in Francia al Saint Etienne, molte cose sono cambiate in meglio, forse anche perché i calciatori musulmani che giocavano nelle principali leghe europee erano meno rispetto a quelli di oggi. In Italia ho sempre avuto la sensazione che ci fosse, da parte di tutti, grande rispetto verso religioni diverse da quella cattolica, ma è certo che oggi, in tutto il calcio occidentale, sia aumentata la sensibilità verso le esigenze spirituali e religiose dei musulmani. E, di pari passo, sono cresciute l’attenzione e l’organizzazione dei club: è cambiata in positivo la percezione dei professionisti dello sport, delle istituzioni, dei tifosi, di tutti. Nell'ultimo turno di Champions League, per citare solo l’ultimo esempio, l’arbitro di Lille-Borussia Dortmund ha sospeso il match all’ottavo minuto, non appena è calato il sole, consentendo così a chi ne avesse bisogno di rifocillarsi: un momento bellissimo e molto significativo. La religione è un aspetto centrale, fondamentale, nella vita dei musulmani. E per noi il Ramadan è il mese dell’anno in cui ci si sente più vicini a Dio. Giorni speciali in cui, noi calciatori, apprezziamo ancora di più la grazia di poter praticare la professione che sin da bambini sognavamo e che ci consente di potere avere una vita privilegiata rispetto a tanti altri fratelli, di tutte le religioni, che invece navigano nella povertà e nella sofferenza. Durante il Ramadan prendiamo coscienza del tanto che Dio ci ha dato e riservato perché, attraverso la pratica, ci cerchiamo e ci ritroviamo, raggiungendo un equilibrio unico: fisico, mentale e spirituale. È proprio per questo aspetto che, per come la vedo e l’ho vissuta io, in questo periodo dell’anno le prestazioni degli atleti musulmani possono addirittura migliorare. Se penso ai momenti migliori della mia carriera, ricordo delle stagioni in cui, durante il Ramadan, andavo letteralmente come un treno e i miei dati, in allenamento e in partita, erano al di sopra delle mie medie. Un altro aspetto fondamentale è come noi musulmani viviamo il Ramadan in relazione a chi non lo pratica e per spiegarvelo voglio raccontarvi un aneddoto legato alla mia esperienza in Italia. Quando arrivai al Napoli, l’allenatore in quel momento era Rafa Benitez. Il ritiro coincise col mese di Ramadan e un’altra cosa che caratterizza noi musulmani è la volontà di vivere questo periodo magico in assoluta serenità e senza pesare sugli altri. Inoltre, ero giovane, con meno sicurezza e consapevolezza rispetto a quella che posso avere oggi che sono un adulto. Decisi, perciò, di non comunicare al club che in quei giorni avrei seguito una tabella nutrizionale e degli orari dei pasti diversi rispetto alla maggioranza dei miei compagni di squadra. Benitez mi chiamò nel suo ufficio, convocando sia lo staff tecnico che quello medico: Rafa mi tranquillizzò e mi disse che il club avrebbe fatto il massimo per consentirmi di vivere in serenità, e nelle condizioni ottimali, il mio Ramadan. Nella mia stanza, ad esempio, fu portato un frigorifero: un vero privilegio. Tutti, poi, mi dimostrarono rispetto ed empatia. Lo chef, addirittura, si svegliava alle tre e mezza di notte per cucinare appositamente per me e Kalidou (Koulibaly, ndr). A noi dispiaceva ma non ci fu verso di fargli cambiare idea. Molti miei compagni, durante il giorno, evitavano di bere o mangiare in mia presenza. Piccoli gesti di grande umanità. Che lasciano il segno, non si dimenticano e determinano riconoscenza, attaccamento al club, alla maglia, al proprio allenatore, ai propri compagni di squadra. Emozioni forti, insomma. Che, come ho detto e ripeto, a conti fatti possono determinare anche un miglioramento delle performance individuali e, quindi, di squadra. E devo dire che al Napoli sono sempre stato molto fortunato, perché tutti gli allenatori mi hanno permesso di esprimermi al meglio come uomo, musulmano e calciatore. Gattuso, addirittura, arrivò a modificare gli orari degli allenamenti. Sono cose che non si dimenticano, alla lunga fanno la differenza e, perciò, creano legami indissolubili che, nello sport come nella vita, possono essere la chiave del successo. Noi musulmani in questo mese ci resettiamo, nel corpo e nell’anima. Dall’alba al tramonto digiuniamo da cibo e acqua: una pratica che, se eseguita nel modo corretto, libera il corpo da molte tossine e comporta grandi benefici al nostro organismo. Viviamo una purificazione che è fisica, mentale e spirituale. Tutto questo, per noi, è gioia. Gioia che vogliamo condividere con il prossimo. Attraverso un sorriso, azioni di solidarietà, gesti semplici che ci avvicinano all’altro, a chi soffre, a chi è stato meno fortunato di noi. A tutti, senza distinzioni: né culturali, né sociali, né religiose. Essere parte, come uomini, nella pace e nella serenità, di un unico grande progetto. E’ il senso della vita. E, in fondo, dello sport".
di Napoli Magazine
25/03/2025 - 23:25
Faouzi Ghoulam, ex terzino del Napoli, a Sky Sport ha raccontato la sua esperienza da calciatore durante il Ramadan: "Per tutti i musulmani è un mese di gioia e purificazione. Si è parlato spesso della compatibilità tra la pratica del Ramadan e lo sport professionistico e, in base alla mia esperienza, posso dire che durante questo periodo per noi così speciale le performance degli atleti musulmani non solo non calano ma possono addirittura… migliorare. Ne sono convinto e ora vi spiegherò il perché. Prima di farlo però volevo contestualizzare la questione. Rispetto a quando ho iniziato la mia carriera di calciatore, in Francia al Saint Etienne, molte cose sono cambiate in meglio, forse anche perché i calciatori musulmani che giocavano nelle principali leghe europee erano meno rispetto a quelli di oggi. In Italia ho sempre avuto la sensazione che ci fosse, da parte di tutti, grande rispetto verso religioni diverse da quella cattolica, ma è certo che oggi, in tutto il calcio occidentale, sia aumentata la sensibilità verso le esigenze spirituali e religiose dei musulmani. E, di pari passo, sono cresciute l’attenzione e l’organizzazione dei club: è cambiata in positivo la percezione dei professionisti dello sport, delle istituzioni, dei tifosi, di tutti. Nell'ultimo turno di Champions League, per citare solo l’ultimo esempio, l’arbitro di Lille-Borussia Dortmund ha sospeso il match all’ottavo minuto, non appena è calato il sole, consentendo così a chi ne avesse bisogno di rifocillarsi: un momento bellissimo e molto significativo. La religione è un aspetto centrale, fondamentale, nella vita dei musulmani. E per noi il Ramadan è il mese dell’anno in cui ci si sente più vicini a Dio. Giorni speciali in cui, noi calciatori, apprezziamo ancora di più la grazia di poter praticare la professione che sin da bambini sognavamo e che ci consente di potere avere una vita privilegiata rispetto a tanti altri fratelli, di tutte le religioni, che invece navigano nella povertà e nella sofferenza. Durante il Ramadan prendiamo coscienza del tanto che Dio ci ha dato e riservato perché, attraverso la pratica, ci cerchiamo e ci ritroviamo, raggiungendo un equilibrio unico: fisico, mentale e spirituale. È proprio per questo aspetto che, per come la vedo e l’ho vissuta io, in questo periodo dell’anno le prestazioni degli atleti musulmani possono addirittura migliorare. Se penso ai momenti migliori della mia carriera, ricordo delle stagioni in cui, durante il Ramadan, andavo letteralmente come un treno e i miei dati, in allenamento e in partita, erano al di sopra delle mie medie. Un altro aspetto fondamentale è come noi musulmani viviamo il Ramadan in relazione a chi non lo pratica e per spiegarvelo voglio raccontarvi un aneddoto legato alla mia esperienza in Italia. Quando arrivai al Napoli, l’allenatore in quel momento era Rafa Benitez. Il ritiro coincise col mese di Ramadan e un’altra cosa che caratterizza noi musulmani è la volontà di vivere questo periodo magico in assoluta serenità e senza pesare sugli altri. Inoltre, ero giovane, con meno sicurezza e consapevolezza rispetto a quella che posso avere oggi che sono un adulto. Decisi, perciò, di non comunicare al club che in quei giorni avrei seguito una tabella nutrizionale e degli orari dei pasti diversi rispetto alla maggioranza dei miei compagni di squadra. Benitez mi chiamò nel suo ufficio, convocando sia lo staff tecnico che quello medico: Rafa mi tranquillizzò e mi disse che il club avrebbe fatto il massimo per consentirmi di vivere in serenità, e nelle condizioni ottimali, il mio Ramadan. Nella mia stanza, ad esempio, fu portato un frigorifero: un vero privilegio. Tutti, poi, mi dimostrarono rispetto ed empatia. Lo chef, addirittura, si svegliava alle tre e mezza di notte per cucinare appositamente per me e Kalidou (Koulibaly, ndr). A noi dispiaceva ma non ci fu verso di fargli cambiare idea. Molti miei compagni, durante il giorno, evitavano di bere o mangiare in mia presenza. Piccoli gesti di grande umanità. Che lasciano il segno, non si dimenticano e determinano riconoscenza, attaccamento al club, alla maglia, al proprio allenatore, ai propri compagni di squadra. Emozioni forti, insomma. Che, come ho detto e ripeto, a conti fatti possono determinare anche un miglioramento delle performance individuali e, quindi, di squadra. E devo dire che al Napoli sono sempre stato molto fortunato, perché tutti gli allenatori mi hanno permesso di esprimermi al meglio come uomo, musulmano e calciatore. Gattuso, addirittura, arrivò a modificare gli orari degli allenamenti. Sono cose che non si dimenticano, alla lunga fanno la differenza e, perciò, creano legami indissolubili che, nello sport come nella vita, possono essere la chiave del successo. Noi musulmani in questo mese ci resettiamo, nel corpo e nell’anima. Dall’alba al tramonto digiuniamo da cibo e acqua: una pratica che, se eseguita nel modo corretto, libera il corpo da molte tossine e comporta grandi benefici al nostro organismo. Viviamo una purificazione che è fisica, mentale e spirituale. Tutto questo, per noi, è gioia. Gioia che vogliamo condividere con il prossimo. Attraverso un sorriso, azioni di solidarietà, gesti semplici che ci avvicinano all’altro, a chi soffre, a chi è stato meno fortunato di noi. A tutti, senza distinzioni: né culturali, né sociali, né religiose. Essere parte, come uomini, nella pace e nella serenità, di un unico grande progetto. E’ il senso della vita. E, in fondo, dello sport".