NAPOLI - Era il 2 maggio dell'87. Appena sceso dal treno alla stazione di Milano, con a fianco la collega Francesca De Lucia, entrai in una cabina telefonica e composi il numero dell'albergo che ospitava il Napoli. Il giorno dopo gli azzurri avrebbero disputato una gara fondamentale per la corsa al primo scudetto sul campo del Como ma io avevo paura di bucare il servizio. Al centralinista dell'hotel chiesi di passarmi il dottor Carlo Iuliano. Carletto -per tutti noi si chiamerà sempre così- stava dormendo e mi rimproverò quando gli dissi: "Aiutami, Canale 8 mi ha inviato qui per seguire la partita, ho un operatore milanese che si farà trovare negli spogliatoi ma io… non ho l'accredito…". La sua prima risposta? Eccola: "Perillo, per l'anima mia, e ora come farò con gli inflessibili lombardi?". Seguì un breve silenzio, poi Carletto aggiunse: "Fatti trovare alle 13 precise davanti allo Stadio, all'ingresso 1". Il giorno dopo mi presentai con ampio anticipo. A un certo punto, tra il tripudio di centinaia di tifosi azzurri che inneggiavano cori e sventolavano bandiere, vidi arrivare il pullman del Napoli, che si avvicinava sempre più a me fino a fermarsi proprio davanti alla mia allora giovanissima persona. Fu un attimo: si aprì la porta lato guidatore e Carletto mi urlò: "Sali in fretta qui con noi!". Mi ritrovai d'incanto tra un Maradona e un Careca, con mister Bianchi che mi squadrò da capo a piedi. Per superare ogni controllo, Iuliano mi fece entrare allo stadio con la squadra, per poi raccomandarsi personalmente col capo ufficio stampa del Como: "Questo giovanotto non ha l'accredito perché è uno scapestrato ma è un mio nipote". Altri tempi. Altri uomini. Oggi, che pure ho fatto un po' di carriera, a volte mi sembra che an che nei miei confronti siano passati anni luce dal rispetto e dai gesti di stima e di affetto che grandi dirigenti, in ogni campo, avevano nei confronti di noi giornalisti. Un'altra volta mi trovai con lui al Centro Paradiso di Soccavo. Era una giornata di inizio giugno, faceva un caldo asfissiante, la squadra era appena andata in ferie. Con Carletto stavamo progettando un numero speciale di Azzurrissimo, la rivista che io fondai e diressi, con la supervisione amorevole di Iuliano e di Gianni De Bury. A un certo sentimmo un botto pazzesco. Trascorsero pochi secondi e ne sentimmo un altro. Uscimmo dalla saletta riunioni e vedemmo il grande Careca che sul mitico campetto di allenamento imbracciava un fucile da caccia… Carletto in un lampo corse incontro al fuoriclasse brasiliano, urlandogli: "Antoniooooooo, sparare è un reatooooo!", accompagnandolo col consueto "per l'anima mia!". Aveva la fama del burbero buono, Carletto; ma era molto di più. Innanzitutto non era buono ma buonissimo, come solo gli uomini con la U maiuscola sanno esserlo. E poi era un esempio di professionalità, di disponibilità, di simpatia. Alzi la mano chi tra i suoi "ragazzi" di allora -Perillo, Coppola, Verna, Carione, De Luca, Iavarone, Alvino, Lucianelli, Rossi, i Prestisimone, Barbuto, Orfeo, Auriemma, Lobasso, Rasulo, Del Genio e altri ancora- non si sentano stringere il cuore in questo momento. E faccia lo stesso chi tra i tanti Raio, Cesarano, Lucariello, Sasso, Riccio ed altri ancora -un po' più grandi di età rispetto a quella nidiata azzurrissima- non senta di aver perso un vero amico. Raramente mi sono ritrovato a scrivere un articolo con gli occhi gonfi di lacrime, come mi sta capitando proprio in questa occasione. Carlo, conosco fino in fondo l'amore che ti ha sempre legato alla tua meravigliosa Anna e alle tue splendide figlie. Prego Iddio che sappiano trovare presto la serenità per superare questo momento. Ti voglio un bene dell'anima -l'anima mia- amico e soprattutto Maestro mio carissimo. Proteggici da lassù.
Antonello Perillo
di Napoli Magazine
06/02/2013 - 17:09
NAPOLI - Era il 2 maggio dell'87. Appena sceso dal treno alla stazione di Milano, con a fianco la collega Francesca De Lucia, entrai in una cabina telefonica e composi il numero dell'albergo che ospitava il Napoli. Il giorno dopo gli azzurri avrebbero disputato una gara fondamentale per la corsa al primo scudetto sul campo del Como ma io avevo paura di bucare il servizio. Al centralinista dell'hotel chiesi di passarmi il dottor Carlo Iuliano. Carletto -per tutti noi si chiamerà sempre così- stava dormendo e mi rimproverò quando gli dissi: "Aiutami, Canale 8 mi ha inviato qui per seguire la partita, ho un operatore milanese che si farà trovare negli spogliatoi ma io… non ho l'accredito…". La sua prima risposta? Eccola: "Perillo, per l'anima mia, e ora come farò con gli inflessibili lombardi?". Seguì un breve silenzio, poi Carletto aggiunse: "Fatti trovare alle 13 precise davanti allo Stadio, all'ingresso 1". Il giorno dopo mi presentai con ampio anticipo. A un certo punto, tra il tripudio di centinaia di tifosi azzurri che inneggiavano cori e sventolavano bandiere, vidi arrivare il pullman del Napoli, che si avvicinava sempre più a me fino a fermarsi proprio davanti alla mia allora giovanissima persona. Fu un attimo: si aprì la porta lato guidatore e Carletto mi urlò: "Sali in fretta qui con noi!". Mi ritrovai d'incanto tra un Maradona e un Careca, con mister Bianchi che mi squadrò da capo a piedi. Per superare ogni controllo, Iuliano mi fece entrare allo stadio con la squadra, per poi raccomandarsi personalmente col capo ufficio stampa del Como: "Questo giovanotto non ha l'accredito perché è uno scapestrato ma è un mio nipote". Altri tempi. Altri uomini. Oggi, che pure ho fatto un po' di carriera, a volte mi sembra che an che nei miei confronti siano passati anni luce dal rispetto e dai gesti di stima e di affetto che grandi dirigenti, in ogni campo, avevano nei confronti di noi giornalisti. Un'altra volta mi trovai con lui al Centro Paradiso di Soccavo. Era una giornata di inizio giugno, faceva un caldo asfissiante, la squadra era appena andata in ferie. Con Carletto stavamo progettando un numero speciale di Azzurrissimo, la rivista che io fondai e diressi, con la supervisione amorevole di Iuliano e di Gianni De Bury. A un certo sentimmo un botto pazzesco. Trascorsero pochi secondi e ne sentimmo un altro. Uscimmo dalla saletta riunioni e vedemmo il grande Careca che sul mitico campetto di allenamento imbracciava un fucile da caccia… Carletto in un lampo corse incontro al fuoriclasse brasiliano, urlandogli: "Antoniooooooo, sparare è un reatooooo!", accompagnandolo col consueto "per l'anima mia!". Aveva la fama del burbero buono, Carletto; ma era molto di più. Innanzitutto non era buono ma buonissimo, come solo gli uomini con la U maiuscola sanno esserlo. E poi era un esempio di professionalità, di disponibilità, di simpatia. Alzi la mano chi tra i suoi "ragazzi" di allora -Perillo, Coppola, Verna, Carione, De Luca, Iavarone, Alvino, Lucianelli, Rossi, i Prestisimone, Barbuto, Orfeo, Auriemma, Lobasso, Rasulo, Del Genio e altri ancora- non si sentano stringere il cuore in questo momento. E faccia lo stesso chi tra i tanti Raio, Cesarano, Lucariello, Sasso, Riccio ed altri ancora -un po' più grandi di età rispetto a quella nidiata azzurrissima- non senta di aver perso un vero amico. Raramente mi sono ritrovato a scrivere un articolo con gli occhi gonfi di lacrime, come mi sta capitando proprio in questa occasione. Carlo, conosco fino in fondo l'amore che ti ha sempre legato alla tua meravigliosa Anna e alle tue splendide figlie. Prego Iddio che sappiano trovare presto la serenità per superare questo momento. Ti voglio un bene dell'anima -l'anima mia- amico e soprattutto Maestro mio carissimo. Proteggici da lassù.
Antonello Perillo