Altri Sport
Pallavolo, Sarah Fahr: "Le sofferenze mi hanno aiutata a crescere, ora voglio essere d'esempio"
15.08.2024 17:25 di Napoli Magazine

Sarah Fahr, dopo l'oro olimpico con la nazionale azzurra di pallavolo, ha rilasciato un'intervista al Corriere della Sera: "Non proprio, anche perché, guardando al mio passato in maniera lucida, mi rendo conto che quelle sofferenze, anche atroci, mi hanno aiutata a crescere. Senza quel conflitto col mio corpo, la lotta col cibo, i due infortuni gravi non sarei la donna e l’atleta che sono ora. L’ultimo pallone con gli Usa? Ho un po’ di nebbia su quell’istante, ricordo le lacrime di gioia. Molte di noi non erano riuscite a dormire dopo la semifinale e non è stato semplice gestire l’euforia per il traguardo raggiunto e la necessità di essere concentrate per finire il lavoro. Anche perché gli ultimi anni sono stati complicati per la squadra, eravamo sempre sulla bocca di tutti. Ho realizzato davvero solo quando sono arrivata in Italia e in tantissimi hanno cominciato a fermarmi per farmi i complimenti o chiedere una foto. Qual è stata la chiave della svolta? L’anno scorso non c’ero, ma è evidente che c’era qualcosa da sistemare. Dal nostro primo incontro, Velasco ha mostrato di avere le idee chiare su tutto, sapeva cosa voleva da ognuna di noi, come voleva lavorare. Ha dato regole precise e ha messo il gruppo nelle condizioni di ritrovare i suoi equilibri: ci ha fatto stare tranquille, il resto è storia. Che eredità lascerà questa medaglia? Ha acceso riflettori sul volley che spero restino accesi a lungo. Sono felice dell’attenzione mediatica e mi auguro che anche i nostri campionati possano beneficiarne. Abbiamo una pallavolo di altissimo livello e il nostro compito sarà far appassionare ancora di più al nostro sport. L’adolescenza è stata la prima grande rivoluzione, quando il tuo corpo comincia a cambiare e ti sembra di vedere il giudizio negli occhi degli altri. Poi la pandemia, col passaggio dal Club Italia a Conegliano nella stagione dell’Olimpiade. Volevo sentirmi all’altezza, essere più magra, più atletica, più tutto. Ho iniziato una dieta sempre più ferrea: mi logorava nell’anima. Ci è voluto un po’ per capire che ero nel pieno di un disturbo dell’alimentazione. E sono sicura sia stata una delle cause del primo infortunio. Come ne sono uscita? Grazie a tutte le persone che mi vogliono bene. In quell’anno ho conosciuto anche Nicolò, il mio fidanzato, che mi ha presa per mano, mi ha riportata sulla terra e mi ha accompagnato fuori dal tunnel. Da un paio d’anni ne sono fuori e ne parlo perché spero che la mia storia possa aiutare tante altre persone: se ne può uscire. La seconda volta che mi sono rotta il crociato volevo smettere. La prima l’avevo affrontata col sorriso, la seconda ero disperata, svuotata. Stavo mollando, finché non ho incontrato un libraio di Conegliano sul treno per andare a farmi operare — controvoglia — a Roma. Abbiamo iniziato a chiacchierare. Mi ha detto che era un tifoso dell’Imoco e ho cominciato a vomitargli addosso il mio dolore. Mi aspettavo la sua compassione, invece era impassibile, quasi non gli importasse di quello che stavo raccontando. Poi mi ha detto che era semiparalizzato e che aveva ripreso a camminare dopo 18 anni di fisioterapia. Da allora tutto ha trovato un senso nuovo".

ULTIMISSIME ALTRI SPORT
TUTTE LE ULTIMISSIME
NOTIZIE SUCCESSIVE >>>
Pallavolo, Sarah Fahr: "Le sofferenze mi hanno aiutata a crescere, ora voglio essere d'esempio"

di Napoli Magazine

15/08/2024 - 17:25

Sarah Fahr, dopo l'oro olimpico con la nazionale azzurra di pallavolo, ha rilasciato un'intervista al Corriere della Sera: "Non proprio, anche perché, guardando al mio passato in maniera lucida, mi rendo conto che quelle sofferenze, anche atroci, mi hanno aiutata a crescere. Senza quel conflitto col mio corpo, la lotta col cibo, i due infortuni gravi non sarei la donna e l’atleta che sono ora. L’ultimo pallone con gli Usa? Ho un po’ di nebbia su quell’istante, ricordo le lacrime di gioia. Molte di noi non erano riuscite a dormire dopo la semifinale e non è stato semplice gestire l’euforia per il traguardo raggiunto e la necessità di essere concentrate per finire il lavoro. Anche perché gli ultimi anni sono stati complicati per la squadra, eravamo sempre sulla bocca di tutti. Ho realizzato davvero solo quando sono arrivata in Italia e in tantissimi hanno cominciato a fermarmi per farmi i complimenti o chiedere una foto. Qual è stata la chiave della svolta? L’anno scorso non c’ero, ma è evidente che c’era qualcosa da sistemare. Dal nostro primo incontro, Velasco ha mostrato di avere le idee chiare su tutto, sapeva cosa voleva da ognuna di noi, come voleva lavorare. Ha dato regole precise e ha messo il gruppo nelle condizioni di ritrovare i suoi equilibri: ci ha fatto stare tranquille, il resto è storia. Che eredità lascerà questa medaglia? Ha acceso riflettori sul volley che spero restino accesi a lungo. Sono felice dell’attenzione mediatica e mi auguro che anche i nostri campionati possano beneficiarne. Abbiamo una pallavolo di altissimo livello e il nostro compito sarà far appassionare ancora di più al nostro sport. L’adolescenza è stata la prima grande rivoluzione, quando il tuo corpo comincia a cambiare e ti sembra di vedere il giudizio negli occhi degli altri. Poi la pandemia, col passaggio dal Club Italia a Conegliano nella stagione dell’Olimpiade. Volevo sentirmi all’altezza, essere più magra, più atletica, più tutto. Ho iniziato una dieta sempre più ferrea: mi logorava nell’anima. Ci è voluto un po’ per capire che ero nel pieno di un disturbo dell’alimentazione. E sono sicura sia stata una delle cause del primo infortunio. Come ne sono uscita? Grazie a tutte le persone che mi vogliono bene. In quell’anno ho conosciuto anche Nicolò, il mio fidanzato, che mi ha presa per mano, mi ha riportata sulla terra e mi ha accompagnato fuori dal tunnel. Da un paio d’anni ne sono fuori e ne parlo perché spero che la mia storia possa aiutare tante altre persone: se ne può uscire. La seconda volta che mi sono rotta il crociato volevo smettere. La prima l’avevo affrontata col sorriso, la seconda ero disperata, svuotata. Stavo mollando, finché non ho incontrato un libraio di Conegliano sul treno per andare a farmi operare — controvoglia — a Roma. Abbiamo iniziato a chiacchierare. Mi ha detto che era un tifoso dell’Imoco e ho cominciato a vomitargli addosso il mio dolore. Mi aspettavo la sua compassione, invece era impassibile, quasi non gli importasse di quello che stavo raccontando. Poi mi ha detto che era semiparalizzato e che aveva ripreso a camminare dopo 18 anni di fisioterapia. Da allora tutto ha trovato un senso nuovo".