L’ipotesi più verosimile è che nessun allenatore al mondo possa tirare fuori da Rafael Leao la dote che più palesemente gli manca: la continuità. Nella vita però ci sono anche le vie di mezzo e a volte ci si può accontentare di quelle. Paulo Fonseca, con il suo metodo “bastone e carota”, era riuscito nella titanica impresa di togliere a Rafa quelle fiammate che lo caratterizzano fin dal giorno del suo primo arrivo a Milano. Sergio Conceiçao, per citare il compianto Aldo Agroppi, arriva da Coimbra e non da Nazareth, quindi miracoli non ne può fare. Però ha capito subito. Ha perfettamente inteso che un Leao sereno è un patrimonio inestimabile per il Milan. Può anche astenersi dall’inseguire il terzino che sale dalla sua parte, ma un gol come quello che ha sbloccato la partita con il Girona lo può fare solo lui. Quando succede, ci sono buone probabilità che il risultato sia favorevole. Contro chiunque.
Il Milan è una squadra nata con evidenti problemi strutturali, amplificati nella prima parte della stagione da qualche idea eccessivamente audace dell’ex allenatore ma anche e soprattutto da un approccio sbagliato di molti giocatori, poco sintonizzati sulle idee di Fonseca. In questo mese targato Conceiçao si è visto qualche cambiamento dal punto di vista tattico, con una maggiore verticalità della manovra e con un po’ di attenzione in più alla fase difensiva, grazie anche a una maggiore protezione garantita da Bennacer e non solo dai sette polmoni di Fofana. Si comincia a notare un lavoro più attento sulla condizione atletica, come aveva sottolineato il nuovo allenatore subito dopo la Supercoppa: l’intervento va intensificato, alla luce del calo notevolissimo visto nella ripresa contro gli spagnoli. Restano dei difetti da sistemare, tipo una fase difensiva che non sempre viene messa in pratica con i sincronismi giusti. O tipo la scarsa attitudine e riempire l’area avversaria, compito che in carriera Morata non ha mai svolto con profitto pur facendosi amare da allenatori e tifosi per la grande abnegazione.
Nell’anno dello scudetto, il Milan trionfò soprattutto grazie alle prestazioni eccezionali di tre giocatori: Mike Maignan, Theo Hernandez e Rafael Leao. Alle loro spalle un collettivo ben strutturato e sicuramente consapevole del traguardo da raggiungere. Stefano Pioli aveva capito che per sollevare il primo trofeo della sua carriera da allenatore doveva – senza esagerare – concedere qualcosa in più a questi tre dal punto di vista delle libertà tecniche e personali. Il risultato fu straordinario. Sergio Conceiçao per ora non può aspirare a tanto. Può però concludere degnamente la stagione su tutti i fronti. La partita con il Girona gli ha detto che quando Leao fa il Leao, si parte da 1-0. Quando Maignan fa il Maignan (tre parate decisive e molto difficili già nel primo tempo) è complicato segnare dei gol al Milan. Resta da capire cosa succede quando Theo Hernandez fa il Theo Hernandez, perché con Fonseca era sparito, con Conceiçao continua a essere una copia sbiadita di sé stesso.
Oggi il Milan è Leao, Maignan e altri nove. Magari non a caso, ma altri nove. Che facciano il loro dovere. Fonseca aveva detto “non me ne frega nulla dei nomi, se uno deve restare fuori, resta fuori”. Errore che non verrà ripetuto dal suo successore, autodefinitosi “né bello né simpatico” ma decisamente abituato a centrare grandi risultati. Uno dei motivi che avevano portato alla scelta di Fonseca per la panchina del Milan era la tacita connivenza alla logica del “Moneyball”, caratteristica che non sembra appartenere a Sergio Conceiçao, descritto come “infuriato” quando gli è stato detto che stava per essere venduto Tomori, decisissimo ora nel chiedere l’arrivo di un killer da area di rigore come Santiago Gimenez. Per la rimonta-scudetto è sicuramente troppo tardi, ma ai tifosi rossoneri vivere più notti come quella del derby di Supercoppa non dispiacerebbe proprio.
di Napoli Magazine
23/01/2025 - 13:00
L’ipotesi più verosimile è che nessun allenatore al mondo possa tirare fuori da Rafael Leao la dote che più palesemente gli manca: la continuità. Nella vita però ci sono anche le vie di mezzo e a volte ci si può accontentare di quelle. Paulo Fonseca, con il suo metodo “bastone e carota”, era riuscito nella titanica impresa di togliere a Rafa quelle fiammate che lo caratterizzano fin dal giorno del suo primo arrivo a Milano. Sergio Conceiçao, per citare il compianto Aldo Agroppi, arriva da Coimbra e non da Nazareth, quindi miracoli non ne può fare. Però ha capito subito. Ha perfettamente inteso che un Leao sereno è un patrimonio inestimabile per il Milan. Può anche astenersi dall’inseguire il terzino che sale dalla sua parte, ma un gol come quello che ha sbloccato la partita con il Girona lo può fare solo lui. Quando succede, ci sono buone probabilità che il risultato sia favorevole. Contro chiunque.
Il Milan è una squadra nata con evidenti problemi strutturali, amplificati nella prima parte della stagione da qualche idea eccessivamente audace dell’ex allenatore ma anche e soprattutto da un approccio sbagliato di molti giocatori, poco sintonizzati sulle idee di Fonseca. In questo mese targato Conceiçao si è visto qualche cambiamento dal punto di vista tattico, con una maggiore verticalità della manovra e con un po’ di attenzione in più alla fase difensiva, grazie anche a una maggiore protezione garantita da Bennacer e non solo dai sette polmoni di Fofana. Si comincia a notare un lavoro più attento sulla condizione atletica, come aveva sottolineato il nuovo allenatore subito dopo la Supercoppa: l’intervento va intensificato, alla luce del calo notevolissimo visto nella ripresa contro gli spagnoli. Restano dei difetti da sistemare, tipo una fase difensiva che non sempre viene messa in pratica con i sincronismi giusti. O tipo la scarsa attitudine e riempire l’area avversaria, compito che in carriera Morata non ha mai svolto con profitto pur facendosi amare da allenatori e tifosi per la grande abnegazione.
Nell’anno dello scudetto, il Milan trionfò soprattutto grazie alle prestazioni eccezionali di tre giocatori: Mike Maignan, Theo Hernandez e Rafael Leao. Alle loro spalle un collettivo ben strutturato e sicuramente consapevole del traguardo da raggiungere. Stefano Pioli aveva capito che per sollevare il primo trofeo della sua carriera da allenatore doveva – senza esagerare – concedere qualcosa in più a questi tre dal punto di vista delle libertà tecniche e personali. Il risultato fu straordinario. Sergio Conceiçao per ora non può aspirare a tanto. Può però concludere degnamente la stagione su tutti i fronti. La partita con il Girona gli ha detto che quando Leao fa il Leao, si parte da 1-0. Quando Maignan fa il Maignan (tre parate decisive e molto difficili già nel primo tempo) è complicato segnare dei gol al Milan. Resta da capire cosa succede quando Theo Hernandez fa il Theo Hernandez, perché con Fonseca era sparito, con Conceiçao continua a essere una copia sbiadita di sé stesso.
Oggi il Milan è Leao, Maignan e altri nove. Magari non a caso, ma altri nove. Che facciano il loro dovere. Fonseca aveva detto “non me ne frega nulla dei nomi, se uno deve restare fuori, resta fuori”. Errore che non verrà ripetuto dal suo successore, autodefinitosi “né bello né simpatico” ma decisamente abituato a centrare grandi risultati. Uno dei motivi che avevano portato alla scelta di Fonseca per la panchina del Milan era la tacita connivenza alla logica del “Moneyball”, caratteristica che non sembra appartenere a Sergio Conceiçao, descritto come “infuriato” quando gli è stato detto che stava per essere venduto Tomori, decisissimo ora nel chiedere l’arrivo di un killer da area di rigore come Santiago Gimenez. Per la rimonta-scudetto è sicuramente troppo tardi, ma ai tifosi rossoneri vivere più notti come quella del derby di Supercoppa non dispiacerebbe proprio.