NAPOLI - Napoli è il Napoli. La città è la sua squadra e viceversa. Il pallone sta alla politica come i giocatori stanno ai governanti, e fa molto più di questi ultimi in un’equazione che, grazie al calcio, sottrae i mali di vivere di una città travolta dai turisti ma pur sempre covo di una mala sempre più giovane e sempre più spietata, che uccide a Mergellina e spara per uno scooter. E in una logica perversa appunto, perché contraria alla logica stessa, celebra il calcio come l’apoteosi del proprio essere, come se davvero tutto si riducesse al calcio. Eppure, è così. Nel bene e nel male: Napoli è già in festa, ma da mó, abbagliata all’inverosimile dalla luce di una vittoria che porterebbe un nuovo sole all’ombra del Vesuvio. Ma è proprio così? Il Napoli calcio pareggia in casa col Verona. Prima, vince per 1-0 col Lecce e prim’ancora perde 4-0 al Maradona contro il Milan. E la città va in subbuglio: c’è chi richiama alla scaramanzia dell’aver festeggiato troppo presto, quando la matematica sta ancora lì per i fatti suoi e nulla ancora ha detto sull’ipotetico terzo scudetto, termine oramai ampiamente sdoganato in ogni vicolo della città e provincia; c’è chi, al contrario, festeggia ancora di più con l’ottimismo di un vantaggio effettivamente ampio che (ne si è sicuri) decreterà la vittoria. Una vittoria che andrà festeggiata. Dalla città. Ma come? Eh, bel problema. Perché quei festeggiamenti, inutile negarlo, potranno essere molto più di una gioia calcistica incontenibile (nel migliore dei casi), e potranno essere un pericolo molto grosso per tanti di quei motivi che sarebbe impossibile elencarli tutti. Non da meno la mano della mala che i suoi tentacoli li ha già ben che allungati. Ma poi? Cosa significherebbe questa vittoria che si aspetta da 30 e passa anni? In quel circolo vizioso e virtuoso, in quella catena d’acciaio che lega la città alla squadra, il calcio può davvero essere salvifico? E che città è quella che ne ha bisogno per salvarsi? “Ma è solo calcio, che sono ste domande alla Marzullo?!?” Eh, no, magari fosse solo calcio e magari una città così meravigliosa non ne avesse così bisogno per credere di essere poi capace di rialzare la testa. Non è solo calcio. Nel bene e nel male, sia chiaro, non è mai stato solo calcio. Ma forse per il bene proprio della città bisognerebbe prendere le distanze dal rettangolo verde e non imbrattare il nome di una via in nome di un pallone. Napoli così fa male a se stessa. E ai napoletani. Che si spera di poter presto alzare il trofeo è chiaro e implicito, ma che quel trofeo sia l’unico modo per rialzarsi, no, non va poi così bene. Intanto, testa al campionato, più che ad altro. Testa a vincere, perché “Se succede saj che gioia; ma si nun succer, saj ch figur e…”. E non sia mai!
di Napoli Magazine
17/04/2023 - 17:12
NAPOLI - Napoli è il Napoli. La città è la sua squadra e viceversa. Il pallone sta alla politica come i giocatori stanno ai governanti, e fa molto più di questi ultimi in un’equazione che, grazie al calcio, sottrae i mali di vivere di una città travolta dai turisti ma pur sempre covo di una mala sempre più giovane e sempre più spietata, che uccide a Mergellina e spara per uno scooter. E in una logica perversa appunto, perché contraria alla logica stessa, celebra il calcio come l’apoteosi del proprio essere, come se davvero tutto si riducesse al calcio. Eppure, è così. Nel bene e nel male: Napoli è già in festa, ma da mó, abbagliata all’inverosimile dalla luce di una vittoria che porterebbe un nuovo sole all’ombra del Vesuvio. Ma è proprio così? Il Napoli calcio pareggia in casa col Verona. Prima, vince per 1-0 col Lecce e prim’ancora perde 4-0 al Maradona contro il Milan. E la città va in subbuglio: c’è chi richiama alla scaramanzia dell’aver festeggiato troppo presto, quando la matematica sta ancora lì per i fatti suoi e nulla ancora ha detto sull’ipotetico terzo scudetto, termine oramai ampiamente sdoganato in ogni vicolo della città e provincia; c’è chi, al contrario, festeggia ancora di più con l’ottimismo di un vantaggio effettivamente ampio che (ne si è sicuri) decreterà la vittoria. Una vittoria che andrà festeggiata. Dalla città. Ma come? Eh, bel problema. Perché quei festeggiamenti, inutile negarlo, potranno essere molto più di una gioia calcistica incontenibile (nel migliore dei casi), e potranno essere un pericolo molto grosso per tanti di quei motivi che sarebbe impossibile elencarli tutti. Non da meno la mano della mala che i suoi tentacoli li ha già ben che allungati. Ma poi? Cosa significherebbe questa vittoria che si aspetta da 30 e passa anni? In quel circolo vizioso e virtuoso, in quella catena d’acciaio che lega la città alla squadra, il calcio può davvero essere salvifico? E che città è quella che ne ha bisogno per salvarsi? “Ma è solo calcio, che sono ste domande alla Marzullo?!?” Eh, no, magari fosse solo calcio e magari una città così meravigliosa non ne avesse così bisogno per credere di essere poi capace di rialzare la testa. Non è solo calcio. Nel bene e nel male, sia chiaro, non è mai stato solo calcio. Ma forse per il bene proprio della città bisognerebbe prendere le distanze dal rettangolo verde e non imbrattare il nome di una via in nome di un pallone. Napoli così fa male a se stessa. E ai napoletani. Che si spera di poter presto alzare il trofeo è chiaro e implicito, ma che quel trofeo sia l’unico modo per rialzarsi, no, non va poi così bene. Intanto, testa al campionato, più che ad altro. Testa a vincere, perché “Se succede saj che gioia; ma si nun succer, saj ch figur e…”. E non sia mai!