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IL RICORDO - Paolo Prestisimone: "Vi racconto il merito di Cesare Maldini con l'Under 21"
03.04.2016 20:55 di Napoli Magazine

NAPOLI - Come ci sono squadre di serie A e di serie B, quasi fatalmente ci sono - si creano - categorie professionali di A e di B. E’ quello che accade anche a noi cronisti, nel caso specifico quelli di serie A sono quelli che curano, seguono e scrivono delle nazionali maggiori, e quelli che fanno lo stesso con le nazionali “minori”. Nel caso ci riferiamo alla Under 21. Ragionamento che ci è venuto in mente in queste ore in cui si celebra Cesare Maldini, il celebre allenatore papà di Paolo Maldini, morto la notte scorsa. Orbene, questa è una testimonianza di chi, come il sottoscritto, per professione ha seguito sia la ‘A’ che la Under 21. ‘Fare’, trattare (ndr) la nazionale A era ovviamente ‘qualifica’ di maggior prestigio. In genere la Under la curavano i colleghi più giovani o comunque con minore esperienza. Beh, per quel che riguarda la mia categoria, il grande merito di Cesare Maldini (merito spontaneo, diciamo) è stato quello di ridare dignità ai cronisti dell’Under, voglia di seguire anche la sua nazionale diciamo minore: chi era inviato al seguito dell’Under 21 parlava con orgoglio di partite, trasferte, tornei, campionati europei. Bastavano pochi giorni sui campi, negli hotel, per avvertire, forte, la differenza. I giorni con la nazionale maggiore (nel mio caso in azzurro era il tempo di Vialli e del ct Azeglio Vicini) erano più ‘pesanti’, più difficili. C’era infatti da star attenti a come ti muovevi, a cosa scrivevi, a soppesare le parole per non urtare, per dire, la suscettibilità di qualcuno, perché sennò il giorno dopo probabilmente il tal campione, una volta letto il tuo articolo, avrebbe potuto chiederti spiegazione o protestare, farti la ‘faccia cattiva’, tenerti il broncio, magari persino farti un personale silenzio stampa. Il più delle volte - quasi tutte, invero – te ne fregavi. Ma magari per qualche collega giovane, poteva essere pesante, scomodo, e ci restava male a sua volta. Comunque per fortuna – e torniamo al tema iniziale – le esperienze con la Under 21 di Maldini ridavano voglia di esserci, di far parte di quel gruppo, di quell’ambiente che magari proprio perché poco valutato dalle grandi testate, ti faceva orgoglioso di esserci al momento di gloria. Come ci capitò per esempio, in occasione della conquista del titolo europeo di categoria a Barcellona nel 1996, quando (era maggio) nella finale in terra iberica battemmo proprio la favoritissima Spagna ai supplementari con un golden gol (allora si chiamavano così) dell’interista Orlandini. Per far capire il clima che c’era tra noi inviati, dopo il gol che sanciva la fine della partita e l’assegnazione del titolo all’Italia, in tribuna stampa volarono macchine da scrivere, telefoni, giornali e brochure, ci abbracciammo come non capita mai (di norma salvaguardiamo un minimo di dignità professionale), esultando più da tifosi che da giornalisti. Questo perché si creava, grazie a tutto quello che abbiamo detto e grazie a Maldini, un fantastico clima ‘agonistico’ di complicità, di condivisione di emozioni. Questo non accadeva assolutamente con la nazionale maggiore, con i vari Vialli, Zenga, Mancini e Giannini, per capirci. Ci tenevamo tutti, per carità, che anche la squadra di Vicini raggiungesse trofei, vittorie o qualificazioni, ma l’atmosfera con i ‘big’ era diversa, più fredda, distaccata. Loro erano i giocatori, noi – per capirci – i giornalisti. Giocatori che avevano atteggiamenti di stupida, ingiustificata, superiorità. Cesare Maldini ct questo non solo non lo tollerava, ma da padre severo e a volte burbero, se se n’accorgeva, magari avrebbe punito il trasgressore, quasi mai il cronista (che talvolta avrebbe pure lui meritato una punizione), quasi sempre il suo ‘ragazzino’ che si sentiva campione e credeva che questo gli dava l’autorizzazione ad essere irrispettoso, anche della buona educazione. I viaggi con Cesare sono stati importanti per la sua truppa proprio per questo, lui chiedeva sì applicazione delle regole di gioco, dei dettami tecnici, ma ancor di più voleva maturità, voleva insomma uomini, non bimbi ricchi e sfrontati. Quelli li odiava, li cacciava dalla stanza o dal campo: “Eh no, carino, magari avrai anche una barca di soldi, una fuoriserie e mille donne: tranquillo che se mi sbagli il rigore ti perdono, ma sappi che con me prima che calciatori si deve essere uomini, echeccazzo…”. Cesare era proprio così, che la terra ti sia lieve.

 

 

Paolo Prestisimone

 

Napoli Magazine

 

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03/04/2024 - 20:55

NAPOLI - Come ci sono squadre di serie A e di serie B, quasi fatalmente ci sono - si creano - categorie professionali di A e di B. E’ quello che accade anche a noi cronisti, nel caso specifico quelli di serie A sono quelli che curano, seguono e scrivono delle nazionali maggiori, e quelli che fanno lo stesso con le nazionali “minori”. Nel caso ci riferiamo alla Under 21. Ragionamento che ci è venuto in mente in queste ore in cui si celebra Cesare Maldini, il celebre allenatore papà di Paolo Maldini, morto la notte scorsa. Orbene, questa è una testimonianza di chi, come il sottoscritto, per professione ha seguito sia la ‘A’ che la Under 21. ‘Fare’, trattare (ndr) la nazionale A era ovviamente ‘qualifica’ di maggior prestigio. In genere la Under la curavano i colleghi più giovani o comunque con minore esperienza. Beh, per quel che riguarda la mia categoria, il grande merito di Cesare Maldini (merito spontaneo, diciamo) è stato quello di ridare dignità ai cronisti dell’Under, voglia di seguire anche la sua nazionale diciamo minore: chi era inviato al seguito dell’Under 21 parlava con orgoglio di partite, trasferte, tornei, campionati europei. Bastavano pochi giorni sui campi, negli hotel, per avvertire, forte, la differenza. I giorni con la nazionale maggiore (nel mio caso in azzurro era il tempo di Vialli e del ct Azeglio Vicini) erano più ‘pesanti’, più difficili. C’era infatti da star attenti a come ti muovevi, a cosa scrivevi, a soppesare le parole per non urtare, per dire, la suscettibilità di qualcuno, perché sennò il giorno dopo probabilmente il tal campione, una volta letto il tuo articolo, avrebbe potuto chiederti spiegazione o protestare, farti la ‘faccia cattiva’, tenerti il broncio, magari persino farti un personale silenzio stampa. Il più delle volte - quasi tutte, invero – te ne fregavi. Ma magari per qualche collega giovane, poteva essere pesante, scomodo, e ci restava male a sua volta. Comunque per fortuna – e torniamo al tema iniziale – le esperienze con la Under 21 di Maldini ridavano voglia di esserci, di far parte di quel gruppo, di quell’ambiente che magari proprio perché poco valutato dalle grandi testate, ti faceva orgoglioso di esserci al momento di gloria. Come ci capitò per esempio, in occasione della conquista del titolo europeo di categoria a Barcellona nel 1996, quando (era maggio) nella finale in terra iberica battemmo proprio la favoritissima Spagna ai supplementari con un golden gol (allora si chiamavano così) dell’interista Orlandini. Per far capire il clima che c’era tra noi inviati, dopo il gol che sanciva la fine della partita e l’assegnazione del titolo all’Italia, in tribuna stampa volarono macchine da scrivere, telefoni, giornali e brochure, ci abbracciammo come non capita mai (di norma salvaguardiamo un minimo di dignità professionale), esultando più da tifosi che da giornalisti. Questo perché si creava, grazie a tutto quello che abbiamo detto e grazie a Maldini, un fantastico clima ‘agonistico’ di complicità, di condivisione di emozioni. Questo non accadeva assolutamente con la nazionale maggiore, con i vari Vialli, Zenga, Mancini e Giannini, per capirci. Ci tenevamo tutti, per carità, che anche la squadra di Vicini raggiungesse trofei, vittorie o qualificazioni, ma l’atmosfera con i ‘big’ era diversa, più fredda, distaccata. Loro erano i giocatori, noi – per capirci – i giornalisti. Giocatori che avevano atteggiamenti di stupida, ingiustificata, superiorità. Cesare Maldini ct questo non solo non lo tollerava, ma da padre severo e a volte burbero, se se n’accorgeva, magari avrebbe punito il trasgressore, quasi mai il cronista (che talvolta avrebbe pure lui meritato una punizione), quasi sempre il suo ‘ragazzino’ che si sentiva campione e credeva che questo gli dava l’autorizzazione ad essere irrispettoso, anche della buona educazione. I viaggi con Cesare sono stati importanti per la sua truppa proprio per questo, lui chiedeva sì applicazione delle regole di gioco, dei dettami tecnici, ma ancor di più voleva maturità, voleva insomma uomini, non bimbi ricchi e sfrontati. Quelli li odiava, li cacciava dalla stanza o dal campo: “Eh no, carino, magari avrai anche una barca di soldi, una fuoriserie e mille donne: tranquillo che se mi sbagli il rigore ti perdono, ma sappi che con me prima che calciatori si deve essere uomini, echeccazzo…”. Cesare era proprio così, che la terra ti sia lieve.

 

 

Paolo Prestisimone

 

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